29 marzo 2024
Aggiornato 10:30
Dario Fabbri a askanews: «Obama non vuole unica potenza regionale»

Yemen, Iraq: la «lucida schizofrenia» USA tra sciiti e sunniti

La guerra nello Yemen è destinata a creare il «caos» in tutto il Medio Oriente. Ma agli Stati Uniti questo stato di permanente caos, in fondo, non dispiace. Anzi, rientrerebbe proprio nella strategia adottata dall'amministrazione di Barack Obama

ROMA (askanews) - La guerra nello Yemen è destinata a creare il «caos» in tutto il Medio Oriente. Ma agli Stati Uniti questo stato di permanente caos, in fondo, non dispiace. Anzi, rientrerebbe proprio nella strategia adottata dall'amministrazione di Barack Obama che ha sposato, da tempo, il principio di non permettere il dominio assoluto a nessuna delle potenze regionali: ovvero Iran, Arabia saudita, Turchia, ma anche Israele. Così Dario Fabbri, consigliere redazionale di Limes, esperto di questioni americane, sintetizza ad askanews il quadro della situazione creatasi nello Yemen con la campagna aereo-navale lanciata la notte tra mercoledì e giovedì da una coalizione di 10 Paesi musulmani guidati dall'Arabia saudita contro gli Houthi, le milizie sciite filo iraniane Houthi accusate di «golpe» contro il potere legittimo del presidente Abd Rabbu Mansour Hadi. Suullo sfondo di un braccio di ferro tra Riad e Teheran proprio per quel predominio che gli Usa non vorrebbero concedere a nessuno.

In Medio oriente sono in corso almeno due guerre sostenute da Washington. Una condotta direttamente contro i jihadisti sunniti dello Stato islamico (Isis) in Siria e in Iraq. Da notare che il governo sciita di Baghdad è apertamente sostenuto dagli Usa, che però hanno imposto il ritiro delle milizie sciite come condizione per appoggiare l'offensiva irachena per Tikrit. L'altro conflitto, sostenuto solo «logisticamente», è nello Yemen, dove l'amministrazione americana contribuisce allo sforzo di ridimensionare lo strapotere degli Houthi sciiti, che poi sono i nemici giurati delle milizie jihadiste di al Qaida e dell'Isis nel loro Paese. Nulla di strano, per Fabbri, che spiega: «La schizofrenia americana in realtà in questo caso è molto lucida. Nel senso che l'amministrazione Usa con Obama ha abbracciato il concetto di equilibrio delle potenze, quindi di impedire a qualsiasi potenza regionale di assurgere a potenza dominante».

Sull'influenza di Teheran, tanto osteggiata da Riad, che considera il confinante Yemen il proprio «cortile di casa», il consigliere di Limes sottolinea che «agli occhi americani un possibile colpo di Stato nello Yemen a guida sciita sarebbe da considerare un possibile punto di svolta a favore di Teheran, che renderebbe di fatto l'Iran, se non la potenza dominante in assoluto nella regione, molto vicina ad esserlo».

Ieri un funizionario americano ha fatto sapere che l'offensiva militare capitanata dall'Arabia Saudita in Yemen «non avrà alcun impatto» sulle trattative agli sgoccioli tra l'Iran e le potenze occidentali sul programma nucleare di Teheran. A questo proposito, «la capacità americana di sostenere l'Iran in Iraq» nella guerra all'Isis «e andare, nello stesso tempo, contro gli interessi della Repubblica islamica nello Yemen serve a rafforzare la posizione degli Stati Uniti nei negoziati nucleari», ha commentato Fabbri.

«L'amministrazione Obama ha stabilito il caos come proprio habitat naturale, a patto che il caos non consenta alle potenze (regionali) investite di superarlo o governarlo. In questo senso il caos può essere funzionale, nel momento in cui l'Iran è impegnato in più conflitti, mentre dall'altro lato Arabia saudita e Turchia hanno notevoli difficoltà ad estendere la propria influenza dove vorrebbero. E questo genera estrema confusione».

Una «confusione», ha ribadito l'analista, che non puo essere considerata dagli Usa come necessariamente «risvolto negativo». Anzi, «ciò che interessa molto agli americani è vedere come potenze regionali sunnite nel caso specifico si stiano impegnando di prima persona direttamente nella guerra, mentre fino a poco tempo fa si 'divertivano' a telecomandare interventi americani nella regione, costringendo la superpotenza ad impatanarsi in conflitti non strategici».