28 marzo 2024
Aggiornato 12:00
estesa la concessione alla PO Valley Operations PTY LTD

Dal Mise «via libera alle trivelle a due passi dalle spiagge»

Il ministero dello Sviluppo economico ha esteso le attività di ricerca di gas e petrolio in mare «entro le 12 miglia dalla costa, nonostante una legge del 2010 vieti tali attività entro questi limiti». Lo hanno denunciato al Tar del Lazio Fai, Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club e Wwf

ROMA – Il ministero dello Sviluppo economico (Mise) ha esteso le attività di ricerca di gas e petrolio in mare «entro le 12 miglia dalla costa, nonostante una legge del 2010 vieti tali attività entro questi limiti». Lo hanno denunciato al Tar del Lazio Fondo Ambiente Italiano, Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club Italiano e Wwf, presso cui hanno presentato un ricorso contro i ministeri dello Sviluppo, dell’Ambiente, delle Infrastrutture e dell’Agricoltura, e nei confronti della società PO Valley Operations PTY LTD, Regione Emilia Romagna, Comune di Ravenna e Ispra.

TRIVELLE ENTRO 12 MIGLIA DA COSTA A RAVENNA - Le sei associazioni hanno puntato il dito contro l'autorizzazione data alla società petrolifera australiana che si è vista estendere «l'area in cui potrà trivellare – in barba ai vincoli normativi – da 197 chilometri quadrati a 526 chilometri quadrati». Nel ricorso è spiegato che il Mise ha autorizzato la compagnia ad ampliare un titolo già esistente – riperimetrando la superficie precedentemente concessa – estendendo così le attività di ricerca di gas e petrolio in mare entro le 12 miglia dalla costa davanti alla città di Ravenna.

«PALESE VIOLAZIONE DELLA LEGGE» - Nel comunicato congiunto è scritto: «Fatta la legge, trovato l’inganno. Con il via libera del ministero dello Sviluppo economico, l’area a disposizione per le trivelle, al largo del Delta del Po, nel ravennate, viene più che raddoppiata. La nuova concessione ricade interamente entro il limite delle 12 miglia di distanza dalla costa ove, per legge, sono vietati ricerca e sfruttamento di idrocarburi. Ci troviamo di fronte a quella che noi giudichiamo una palese violazione della legge, che ignora quanto già chiarito in merito dal Consiglio di Stato che stabilisce come non si possano modificare in maniera così radicale gli esistenti titoli abilitativi. Questa manovra equivale di fatto a un via libera per poter trivellare i nostri mari ovunque: a due passi dalle coste e dalle spiagge, dalle aree protette, sempre più a ridosso di luoghi ad alto valore turistico, da nord a sud. Un vero scempio».

UN PERICOLOSO PRECEDENTE - Secondo le 6 associazioni c'è stata un’interpretazione «abnorme dell’articolo 35 del decreto Sviluppo del 2012, promosso dall’allora ministro allo sviluppo economico del  governo Monti Corrado Passera. Quella norma prevedeva una deroga al limite delle 12 miglia, e faceva salvi i procedimenti autorizzatori e concessori in corso alla data del 29 giugno 2010». I ricorrenti hanno ricordato che il Consiglio di Stato ha chiarito che l'espressione «conseguenti e connessi» fa riferimento solo a titoli che costituiscono «attuazione» di provvedimenti già adottati, mentre «devono ritenersi esorbitanti […] quelle iniziative che si risolvono nell’esistenza di un nuovo titolo abilitativo o, comunque, in una modifica del titolo già esistente». Per le associazioni «ampliare un’area già concessa non rientra in questa fattispecie e non ha a che vedere con la pur discutile ratio del decreto Passera; costituisce, invece, una violazione chiara della legge. Si tratta di un precedente che, se utilizzato per ogni permesso già rilasciato, finirebbe per vanificare il divieto delle 12 miglia introdotto nel 2010. Se passa indenne questa interpretazione del ministero, si potrà trivellare praticamente ovunque nei nostri mari».