20 marzo 2025
Aggiornato 05:30
L'Italia ha meno occupati del 2004, mentre l'occupazione vola in Germania

«Garanzia Giovani», l'ultimo flop per rilanciare il lavoro

L'Istat lancia un nuovo allarme: a novembre, secondo calo mensile consecutivo del numero di occupati; in due mesi, sono stati 100mila i posti di lavoro «bruciati». Record di disoccupati tra i giovani, a denunciare la scarsa efficacia di «Garanzia Giovani». Intanto, il record di occupati in Germania spinge a chiedersi se, in Italia, sia solo colpa della crisi, o se il problema sia più complesso.

ROMA - Ennesimo campanello d’allarme in materia di lavoro e occupazione: oltre alla percentuale record di disoccupati al 13.4%, per i giovani al 43.9%, a preoccupare è la rilevazione sulle forze lavoro appena pubblicata dall’Istat, relativa al mese di novembre, che denuncia il secondo calo mensile consecutivo del numero di occupati. Come riporta il Sole 24 Ore, oltre alla contrazione di ottobre su settembre di 65mila occupati, il dato di oggi testimonia la diminuzione, a novembre su ottobre, di altre 48mila unità: nel giro di due mesi non solo si sono «bruciati» i 100mila posti di lavoro in più creati nei mesi precedenti e tanto invocati dal premier, ma, rispetto all’anno precedente, si torna in negativo: -42mila occupati.

DONNE E GIOVANI I PIÙ A RISCHIO - Uno dei dati più allarmanti, poi, è il livello elevatissimo della disoccupazione giovanile, che, sfiorando il 44%, spinge a chiedersi se l’incentivo Letta-Giovannini di Garanzia Giovani possa costituire un valido aiuto, o sia l’ennesimo buco nell’acqua. Il quotidiano ItaliaOggi propende evidentemente per la seconda opzione: il progetto si sarebbe rivelato un vero e proprio flop, dal momento che, su 311.440 giovani registrati al 10 dicembre 2014 - cioè solo il 18% di 1.723.000 giovani che potrebbero iscriversi -, sono 116.835 quelli «presi in carico», di cui appena 9.543 sono stati destinatari di una «proposta di misura». Il fatto, poi, che sui 48mila occupati in meno, ben 41mila siano donne significa che gli interventi del Governo non sono in alcun modo riusciti a scalfire il «nocciolo duro» della disoccupazione, ma l’hanno, semmai, soltanto temporaneamente «annacquata» attraverso una selva di rapporti brevi, part-time, piccole e brevi collaborazioni fatte da giovani e donne per arrotondare il bilancio familiare.

CHE COSA MANCA AL BELPAESE PER INVERTIRE IL TREND? - Se pensiamo che questi dati giungono proprio mentre la Germania, per l’ottavo anno consecutivo, stabilisce un’occupazione record (42.6 milioni di occupati), e la Spagna registra un -5.39% di disoccupati, viene da chiedersi che cosa manchi al Belpaese per invertire un trend sempre più negativo. Secondo Romano Benini, da anni consulente delle maggiori istituzioni pubbliche e agenzie per il lavoro italiane e autore del libro Nella tela del Ragno, il problema dell’Italia non è imputabile soltanto alla crisi. Innanzitutto, il crollo del lavoro e della produzione non sarebbe  conseguente al crollo della ricchezza e del reddito disponibile, visto che quest’ultimo, nel nostro Paese, è diminuito in modo meno che proporzionale: addirittura, scrive Benini nel suo volume, «Il recupero della borsa e delle transazioni finanziarie avvenuto dopo il 2011 ha portato persino a un miglioramento della situazione per alcuni ceti, e i più ricchi, come abbiamo visto, sono in Italia ancora più ricchi proprio con la crisi. Il dato è chiaro e significativo: quasi la metà della ricchezza nazionale (il 46%) appartiene a non più del 10% degli italiani». Inoltre, l’Italia sarebbe storicamente un Paese con, in media, il 5%di persone in meno al lavoro rispetto alla media Ocse. Secondo Benini, «Questo fenomeno non è figlio della crisi, ma della cultura italiana del Novecento ed è del tutto trascurato nel dibattito politico e sindacale». Il modello di sviluppo italiano su cui si è da sempre fondato il mercato del lavoro, cioè, non è mai stato all’altezza di quello dei Paesi più sviluppati: inferiori livelli di competenza richiesti, minore disponibilità delle donne al lavoro (o del mondo del lavoro alle donne), minore età del pensionamento, ritardo con cui i giovani scolarizzati entrano nel mercato del lavoro, presenza del lavoro nero e irregolare.

CON LA CRISI, POLITICHE POCO LUNGIMIRANTI E PROATTIVE - Con la crisi, questa situazione ha finito per incancrenirsi: anche perché le politiche dei governi che si sono succeduti, lascia intendere Benini, al contrario di altri Paesi europei, sono state tutt’altro che lungimiranti. Tutte le risorse disponibili, infatti, sono state utilizzate a sostegno dei lavoratori in esubero, compresi quei 9 miliardi di euro che l’Ue aveva originariamente destinato alle attività obbligatorie per poter trovare un nuovo lavoro. In pratica, non investimenti sui servizi per il lavoro e per l’orientamento e l’occupazione dei disoccupati, come nel resto d’Europa, ma politiche passive per i lavoratori in cassa integrazione o mobilità. Il risultato? Meno occupati nel 2014 che nel 2004 (unicum in Europa), meno occupazione e più disoccupazione, specialmente tra i più giovani. La scommessa di Renzi sta tutta nel nuovo contratto a tutele crescenti, che, abbattendo il cuneo fiscale, dovrebbe far crescere la stabilità dei rapporti. Viene da chiedersi, però, se, senza una buona ripresa produttiva e un ripensamento totale del sistema del mercato del lavoro italiano, tale soluzione potrà dare i frutti sperati.