18 aprile 2024
Aggiornato 17:00
Parla l'esperto

La chiusura del South Stream è rischiosa per l’Italia

La notizia della chiusura del progetto «South Stream» è stata accolta da molte edizioni italiane come fulmine a ciel sereno. Nondimeno i dirigenti ufficiali italiani, che ieri avevano in programma la diversificazione delle forniture delle risorse energetiche, in primo luogo grazie al South Stream, hanno reagito in modo sorprendentemente contenuto alla rinuncia della Russia

«In questo momento non riteniamo questo progetto fondamentale per l’Italia, per cui la decisione di bloccarlo non rapresenta adesso un motivo di preoccupazione», ha detto il premier Matteo Renzi.

Nicolò Sartori, specialista di sicurezza energetica dell’Istituto degli Affari Internazionali di Roma, parla nell’intervista a «La Voce della Russia» dei risvolti che la chiusura di questo progetto avrà in realtà per l’Italia.

Signor Sartori, la decisione del Cremlino è diventata inattesa per Lei? Si è aspettato tale svolta?
Era abbastanza difficile aspettarsi qualcosa di simile. C’erano indubbiamente dei segnali che indicavano che, probabilmente, il progetto viveva tempi difficili. Tali dichiarazioni sono state fatte, ad esempio, da Claudio Descalzi, amministratore delegato di ENI, e da Federica Guidi, ministro dello sviluppo economico dell’Italia. Penso che qui abbiano svolto il loro ruolo in primo luogo il conflitto con la Eurocommissione riguardo gli aspetti legali della realizzazione del South Stream, le sanzioni ed anche la crisi in Italia. A questa decisione ha contribuito anche una serie di altre cause: la caduta dei prezzi del petrolio greggio, le conseguenze economiche delle sanzioni e la riduzione in Europa della domanda di gas naturale. Tutto ciò preso insieme ha portato alla tempesta cui è seguita la chiusura ufficiale del South Stream. Era un progetto politico e per la sua felice realizzazione era proprio necessaria una visione politica comune. È del tutto logico che dopo l’inizio del conflitto in Ucraina la Russia abbia deciso di rivedere il proprio atteggiamento verso il South Stream e di investire il denaro in altri progetti.

È noto che dopo la chiusura del South Stream le perdite della Bulgaria ammonterranno a 400 milioni di euro all’anno. Come la decisione di Mosca inciderà sull’Italia, su ENI e Saipem dal punto di vista finanziario e strategico?
Per quanto riguarda la Bulgaria, in questo caso di tratta in primo luogo di un paese di transito. In merito all’Italia posso dire invece che era pronta ad investire in questo progetto una somma di denaro che non doveva superare una certa soglia. Le perdite principali si aspettano per Saipem legata da un serio contratto per la costruzione di tubi. Ma, a quanto mi risulta, a causa della rescissione unilaterale del contratto a Saipem sarà pagata una mora.
Così, una parte dei soldi investiti da questa compagnia le sarà restituita. L’Italia dovrebbe, indubbiamente, essere più preoccupata dall’aspetto strategico della questione, ossia dai rapporti in futuro tra Russia ed Italia, tra ENI e Gazprom. Da una parte, ENI cerca in questo momento di diversificare il proprio portafoglio energetico ridimensionando una parte dei propri interessi in Russia. Dall’altra parte, per la sicurezza energetica di un paese come l’Italia, che dipende molto dalle forniture del gas russo, il transito per un corridoio più sicuro quale, a differenza di quello ucraino, potrebbe diventare il South Stream, era semplicemente necessario. Per noi, come per molti altri paesi europei, la chiusura di questo progetto è abbastanza rischiosa: adesso tutti gli stati che ricevomo gas attraverso l’Ucraina diventano molto vulnerabili.

Il progetto Nabucco, concorrente del South Stream, dovrà passare per il territorio della Turchia. In questo momento la Russia ha cominciato a pensare alla costruzione di un gasdotto alternativo che passi lungo il confine turco-greco. Si può quindi affermare che la Turchia ha realizzato il suo sogno principale diventando un importantissimo ed influente paese di transito delle risorse energetiche. A Suo parere, l’Unione Europea e l’Italia riusciranno a trovare un linguaggio comune con Erdogan, il quale ha adesso quasi tutti i principali assi nella manica?
Si tratta di un aspetto molto importante. In passato l’UE ha avuto più volte la possibilità di costruire rapporti seri con la Turchia nell’ambito del progetto «Nabucco», ma l’Unione Europea ha perso la propria chance dopo che la Turchia ha cominciato ad orientarsi verso l’Est: ha stabilito i rapporti con l’Azerbaigian e adesso ha un progetto strategico con la Russia il quale prevede nuove forniture. L’Unione Europea deve, certamente, cercare di costruire il dialogo con Erdogan. L’unico problema è però che non è chiaro quali strumenti potranno essere usati oggi dall’UE nei negoziati energetici con la Turchia. Penso che questo processo non sarà affatto semplice.

Quale futuro Lei pronostica per il progetto «North Stream», attraverso il quale devono realizzarsi le forniture del gas russo alla Germania e all’Olanda? Come inciderà sulla sua realizzazione il fatto che le priorità della politica energetica della Russia vengono spostate sempre più attivamente verso l’Est?
Penso che il North Stream non sia minacciato da niente. Questo progetto è stato già avviato ed ha dimostrato solo lati positivi. È importante anche per la garanzia della sicurezza energetica dell’Europa, soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti in Ucraina.