19 aprile 2024
Aggiornato 10:30
Vinitaly

Per ogni bottiglia autentica di vino «made in Italy» ce n’è una contraffatta

Contro la falsificazione dei nostri vini più pregiati e per la tutela dei consumatori, per la Cia è sempre più necessaria una politica efficace di controlli e di gestione del capitale produttivo

ROMA - Sugli scaffali e nei ristoranti di tutto il mondo sono sempre di più le bottiglie di vino che di italiano hanno soltanto il nome. Per ogni bottiglia autentica ce n’è una contraffatta. Il settore dell’agroalimentare italiano che esporta di più perde ogni anno cifre astronomiche a causa dei falsi «made in Italy» immessi sul mercato. Tra bottiglie palesemente contraffatte, etichette che «suonano» italiane senza esserlo, marchi o denominazioni non riconosciuti, ammonta a 2 miliardi il giro d’affari del vino «tarocco» nel mondo: pressappoco la metà del fatturato che l’export vitivinicolo ha fatto registrare nel 2010. Un vero e proprio furto ai danni del settore, che proprio quest’anno ha fatto registrare il suo maggior successo all’estero, trainando le esportazioni dell’agroalimentare nel suo complesso. È quanto rileva la Cia-Confederazione italiana agricoltori in occasione del Vinitaly, che apre i battenti il prossimo 7 aprile.

La prima voce dell’export «made in Italy» è fortemente minacciata dall’«italian sounding», fenomeno diffuso soprattutto in Usa e in Canada, che -ricorda la Cia- utilizza in maniera impropria parole, immagini e marchi che si richiamano all’Italia. Si tratta di illeciti che colpiscono in maggior misura i vini più richiesti che seguono, in quanto a numero di imitazioni, i cibi in assoluto più clonati: subito dopo il Parmigiano Reggiano, il prosciutto di Parma, il San Daniele e il Grana Padano, troviamo tra i prodotti più imitati il Chianti e, a seguire, l’Amarone, il Prosecco, il Barbera, il Barolo e i vari vini friulani e siciliani.

Per tutelare i consumatori e il buon nome del nostro vino è necessario intraprendere una politica più efficace per il settore che percorra una duplice direzione. Per quanto riguarda il mercato interno all’Unione europea, dove vigono i meccanismi di tutela previsti per le denominazioni, è necessario rafforzare i controlli, rendendo più efficaci le sanzioni per i trasgressori, e introducendo provvedimenti come ad esempio la sospensione al diritto a produrre la denominazione d’origine frodata. Per disincentivare le frodi, inoltre, vanno rafforzati -secondo la Cia- gli attuali meccanismi di autogoverno che fanno capo ai Consorzi, a cui è affidata la gestione del potenziale produttivo.

Fuori dalla Ue il problema si complica. Non esistendo ancora meccanismi consolidati che consentano di evitare o ridurre al minimo la falsificazione del «Made in Italy», il mercato del vino italiano oltre i confini europei è particolarmente esposto ai rischi della falsificazione, soprattutto nel mercato statunitense, che da solo assorbe il 33 per cento dell’export italiano, per un valore di circa 827,3 milioni di euro. Dopo la Germania, infatti, gli Usa sono i primi importatori del vino del Belpaese e anche i più grandi imitatori dei nostri prodotti più pregiati.
Per arginare il fenomeno -conclude la Cia- è necessario armonizzare le normative che tutelano i nostri vini di qualità anche nell’ambito della Wto, dove occorre un registro multilaterale in grado di difendere la qualità e la tipicità delle produzioni, anche in previsione delle possibili frodi che potrebbero minacciare l’enologia italiana nei mercati dei paesi emergenti, dove si giocherà la partita del vino italiano nei prossimi anni.