20 aprile 2024
Aggiornato 13:30
Aspettando Vinitaly

Italia, un mercato maturo fatto di consumatori che non conoscono il vino

Si discute su come conquistare nuovi mercati, nella convinzione che chi non conosce il vino non lo può apprezzare, e intanto non si fa niente per i nuovi consumatori italiani

VERONA - «Vi preoccupate tanto di come avvicinare i consumatori degli altri Paesi al vino, ma avete dimenticato che il cambio generazionale a casa richiede lo stesso sforzo». Per Veronika Crecelius, giornalista tedesca corrispondente in Italia della rivista Weinwirtschaft il mercato italiano è stato «semplicemente trascurato».
Meno diretti forse, ma sulla stessa linea di pensiero gli altri protagonisti della quarta serie di interviste a istituzioni di categoria, produttori, comunicatori, operatori della distribuzione, pubblicitari/esperti di costume realizzate da Vinitaly (7-11 aprile 2011). Il dibattito sul calo dei consumi interni proposto dal più importante Salone internazionale dedicato al vino coinvolge questa settimana, oltre a Veronika Crecelius, Riccardo Ricci Curbastro presidente di Federdoc, Antonio Capaldo presidente della Feudi di San Gregorio, Giancarlo Vettorello direttore del Consorzio del Conegliano Valdobbiadene e Marco Selmo responsabile liquidi del gruppo Carrefour.

Il confronto, pubblicato sul sito www.vinitaly.com è aperto ai commenti e verte su tre domande.
Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
Perché al contrario il trend dell'export è in crescita?

«Il vino italiano di qualità gode di corsie preferenziali sui mercati esteri - dice Ricci Curbastro –, ma il mercato italiano non va trascurato, perché la crescita dell’export non compensa affatto le perdite dei consumi interni». Per questo, a fronte di una società che sta cambiando, servono programmi di comunicazione sulla corretta assunzione del vino e di promozione del legame con il territorio e le tradizioni culturali e culinarie.
«Occorre riscoprire l’attività di degustazione come propedeutica alla vendita – dice Capaldo -, come si fa in tantissimi mercati considerati a torto meno evoluti, perché se il cliente non degusta non acquista», mentre per Vettorello «molto possono fare la ristorazione e la distribuzione, anche emarginando i troppi vini generici che vediamo sulle tavole».
Individuate le strategie, non manca la nota dolente, rappresentata dalla mancanza di coordinamento della filiera. Responsabilità anche, ma non solo, della frammentazione del sistema vitivinicolo italiano, rappresentato, secondo Selmo, da una «miriade di piccole aziende a volte tra loro concorrenti, che non riescono a dare un messaggio univoco che migliori l’immagine del vino agli occhi del consumatore».