Gruppo d'acquisto per l'Abruzzo
Per aiutare i piccoli produttori dei Presìdi e delle Comunità del cibo aquilani
FORLI' - A distanza di quasi un mese dal terremoto che ha colpito l’Abruzzo e che fortunatamente non ha causato danni strutturali e non ha fatto vittime tra i produttori dei Presìdi abruzzesi, emerge ora con evidenza un problema che i media hanno denunciato in maniera marginale ma che coinvolge tutti i produttori agroalimentari della provincia de L’Aquila: è crollata la domanda locale di prodotti del territorio. In un comprensorio composto da circa 80 000 abitanti, almeno 30 000 persone sono rifugiate sulle coste, negli alberghi messi a disposizione dalla Protezione civile, gli altri sono per lo più ospitati nelle tendopoli. Nessuno fa la spesa ovviamente, gli esercizi commerciali e i locali sono inattivi quando non inagibili, il turismo del fine settimana annullato: anche in aree della provincia di L’Aquila che non sono state assolutamente colpite dal sisma.
Questa situazione sta mettendo in ginocchio l’economia dei piccoli allevatori e dei produttori che non possono contare su un mercato regionale e nazionale.
Abbiamo raccolto dati allarmanti dai nostri Presìdi: sono colpiti in particolare i produttori di formaggi della zona del Gran Sasso, dove Slow Food ha istituito il Presidio del Canestrato di Castel del Monte. Da Pasqua alla fine di aprile Giulio Petronio, uno dei produttori del Presidio, ha venduto circa 20 chili di formaggio invece dei dieci quintali venduti nello stesso periodo dell’anno scorso e ci sono ancora alcune tonnellate di formaggio nelle stagionature. Il Presidio raccoglie quotidianamente il latte di 22 piccoli allevamenti, da Paganica a Calascio, e la maggior parte del latte munto in questi giorni viene congelato perché nessuno si azzarda a produrre senza la sicurezza di trovare poi un mercato. In questo modo si perde la possibilità di produrre successivamente un buon formaggio a latte crudo.
Anche il Presidio della lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, un piccolo borgo di un centinaio di abitanti, famoso per le sue piccole lenticchie scure che i contadini coltivano su terreni impervi, ha ancora oltre 10 quintali di legumi invenduti.
Ma i problemi non sono solo legati alla carenza di ordini: molti coltivatori dei paesini aquilani sono scoraggiati e molti non vogliono più seminare; i contadini più anziani sono impauriti da superstizioni – una credenza popolare di queste zone dice che non bisogna seminare i terreni dopo un terremoto perché crescerebbero piantine avvelenate – un grande lavoro di recupero della biodiversità svolto grazie all’impegno dei tecnici del Parco Nazionale del Gran Sasso e di Slow Food rischia di essere compromesso. Negli anni scorsi nel parco sono nate molte Comunità del cibo che hanno partecipato a Terra Madre. Il terremoto ha colpito in particolare i produttori di fagioli di Paganica – uno dei centri più vicino all’epicentro del sisma – gli apicoltori e la Comunità del cibo degli Agricoltori Custodi del Parco del Gran Sasso.
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