2 maggio 2024
Aggiornato 19:30

E la crisi dà nuovo senso al 1° Maggio

Articolo segretario generale Ugl, Renata Polverini, su 1° Maggio da Secolo d'Italia

Le parole di Benedetto XVI ancora riecheggiano nei cuori e nelle menti del popolo abruzzese duramente colpito dal terremoto proprio all'inizio della settimana santa che i cristiani dedicano alla riflessione e al pentimento. Fin dalla mattina del 6 aprile, quando le troupe televisive hanno iniziato a trasmettere le immagini di quella che è apparsa da subito una immane tragedia, abbiamo iniziato ad interrogarci sul senso del 1° Maggio, su quel che il sindacato può e deve fare in occasioni come queste, quando in pochi secondi si perdono gli affetti di una vita, crolla una casa costruita con tanto sacrificio, si perde il lavoro.

Qualche settimana prima, la nostra organizzazione sindacale, dopo una profonda riflessione interna, aveva preso la decisione di celebrare la ricorrenza della Festa dei lavoratori il primo Maggio a Casal di Principe, un luogo altamente simbolico e al quale ben si legano le parole che il Santo Padre ha pronunciato in occasione della sua visita abruzzese. Dolore, perché spesso in passato lo Stato ha abdicato al suo ruolo di garante della sicurezza e della libertà dei cittadini, e speranza, perché, dopo aver raggiunto il punto più basso, le istituzioni, comprese quelle locali, sostenute dalle forze dell'ordine e dai volontari della Protezione civile, stanno dimostrando che la legalità è la prima infrastruttura sulla quale far crescere e prosperare un Paese.

Proprio quando l'ideale marcia di avvicinamento alla cittadina del Casertano era cominciata, proprio quando i nostri pullman iniziavano a riempirsi di friulani e di siciliani, di piemontesi e di pugliesi, di lombardi e di calabresi e di ogni altra espressione della nostra Italia, compresi i tanti lavoratori stranieri immigrati che hanno scelto l'Ugl perché sanno di potersi fidare, il terremoto ha cambiato ogni prospettiva, imponendoci una scelta difficile quanto doverosa: quella di essere presenti all'Aquila con discrezione, la stessa che ci ha permesso, senza tanti clamori, di consegnare nelle mani del presidente della Regione, Giovanni Chiodi, un segno tangibile della nostra solidarietà concreta. L'Aquila e Casal di Principe, però, sono oggi molto meno distanti dei trecento chilometri che li separano. Tutto questo perché drammi tanto diversi possiedono un forte valore simbolico e dimostrano la volontà del nostro popolo di ripartire, di ricostruire un tessuto umano e sociale tale da assicurare un positivo sviluppo al nostro Paese. È così, quindi, che il 1° Maggio, lontano dai clamori di rock band che sparano alti i loro decibel, ritrova nel silenzio della riflessione il senso vero del suo significato in un momento nel quale la crisi economica colpisce duramente i gangli vitali del sistema produttivo nostrano. È con questo spirito che sosteniamo la necessità di entrare nel merito della crisi, provando ad immaginare possibili vie di uscite e disegnando traiettorie di rilancio, partendo da alcuni settori strategici per il sistema Paese: metalmeccanica, chimica, agroalimentare. Fra finanziarizzazione ed economia reale è necessario puntare con convinzione su quest'ultima, recuperando la centralità del lavoro e della persona che lavora. È una prospettiva sicuramente non nuova, sulla quale si sono spesi fiumi di inchiostro e alla quale hanno dedicato pagine interessanti almeno quattro Pontefici in poco più di cento anni ma che, oggi, sembra attecchire anche laddove questa crisi ha avuto inizio: negli Stati Uniti d'America, a Detroit, dove nel 1908 Henry Ford inventò la catena di montaggio, primo passo per la stereotipizzazione dei comportamenti del lavoratore-ingranaggio. Oggi, in attesa di leggere i termini dell'intesa, pur con i distinguo del caso (sollevati, fra gli altri, da Gaetano Rasi; sarebbe stato interessante conoscere il pensiero di Giano Accame), si ha la percezione che il salvataggio della Chrysler, con il contributo decisivo della Fiat, possa rappresentare l'inizio di una nuova esperienza partecipativa e di condivisione degli obiettivi nell'interesse dei lavoratori e dell'azienda, ma anche di uno Stato consapevole dell'importanza di difendere il cuore produttivo di un Paese.

Non possiamo sapere quando e come finirà questa crisi, ma siamo convinti di due cose. La prima è che la recente firma dell'Accordo di riforma della contrattazione apre ampi margini per la sottoscrizione di intese partecipative a livello aziendale anche perché la contrapposizione – seppure «sana», come sostiene Mario Deaglio – non è necessariamente l'elemento fisiologico del confronto fra capitale e lavoro ed è dalla partecipazione che, piuttosto, può arrivare la spinta per recuperare tutta la coesione necessaria per uscire da una crisi così grave. L'altra è che il disagio sociale è davvero reale, molto aldilà di quanto possa apparire da qualsiasi lettura minimalista di alcune recenti statistiche le quali hanno trovato ampio, ma non approfondito, risalto sulla stampa e sugli organi di informazione in genere. Il vizio di questi studi è che non fotografano l'immediato, ma il più o meno recente passato, con il risultato di presentare una visione un pò distorta. Se in condizioni normali si tratta di una distorsione sostanzialmente e legittimamente accettabile, in tempi di rapidi cambiamenti rischiano di ingenerare una errata percezione della realtà.

A chi crede che il ceto medio stia resistendo o a chi pensa che la povertà sia stabile si può rispondere di guardare alle file davanti alla Caritas o all'aumento dei pignoramenti, tanto per citare due indicatori immediati. Dolore, quindi, ma anche speranza, la stessa che ritroviamo nella gente abruzzese e campana, per il primo Maggio dei lavoratori italiani.