5 maggio 2024
Aggiornato 02:30
Calcio

Rodriguez e Kalinic: le due spine di Gattuso

La finale di Coppa Italia raggiunta dai rossoneri maschera solo in parte le palesi difficoltà di due calciatori in crisi

Gennaro Gattuso, allenatore del Milan dallo scorso 28 novembre
Gennaro Gattuso, allenatore del Milan dallo scorso 28 novembre Foto: ANSA

MILANO - La doppia trasferta romana ha consegnato al Milan la preziosissima vittoria contro la Roma in campionato e il passaggio del turno in Coppa Italia contro la Lazio che ha spalancato ai rossoneri le porte della finale con la Juve del prossimo 9 maggio. Il Milan è oggi una squadra vera, compatta, sicura di sé, solida nella testa e nelle gambe, ambiziosa e convinta di poter raggiungere ogni traguardo. Merito di un allenatore, Gennaro Gattuso, che senza inventare nulla e senza ergersi a filosofo della materia, ha plasmato e rimodellato un gruppo che fino a dicembre aveva le gomme a terra. Nell’entusiasmo generale di un Milan ritrovato nell’organizzazione e nei singoli, non possono passare inosservati due calciatori che sembrano andare controcorrente rispetto all’andamento della squadra: parliamo, ovviamente, di Ricardo Rodriguez e Nikola Kalinic, al momento due oggetti misteriosi nella compagine milanista.

Alla ricerca dell’identità perduta

Il terzino svizzero ha fallito il secondo rigore consecutivo, e questo sarebbe il male minore perché, al di là degli errori dal dischetto (che possono capitare a chiunque), il laterale elvetico sta palesando lacune enormi, soprattutto mentali; da quella sciocchezza nel derby di andata, Rodriguez ha perso la trebisonda, si è intristito, intimidito, è stato incapace di spingere sulla sua fascia di competenza, mostrando debolezza e nascondendosi spesso dietro i compagni. Due tifosi, allo stadio Olimpico, dicevano: «Rodriguez non punta l’avversario, non spinge e non difende, quando ha palla fa una piroetta su se stesso e poi la appoggia al compagno più vicino o, se in difficoltà, la butta in fallo laterale». Cosa aggiungere ad un’analisi tanto semplice quanto emblematica?

Anemia da gol

E poi c’è Kalinic, sempre più assorbito da un buco nero dal quale non riesce a riemergere. I gol sono pochi (pochissimi), gli aiuti ai compagni ancor meno, l’insofferenza del pubblico è invece ai massimi storici. La qualificazione in Coppa Italia farà passare in secondo piano la ciabattata del croato a fine supplementari, ma se il Milan avesse perso ai rigori, Kalinic sarebbe stato crocifisso in sala mensa a Milanello, come da fantozziana leggenda, anche se onestamente c’è poco da ridere perché i 25 milioni spesi dal club milanista per un simile calciatore pesano nell’economia e nei fatti di una squadra che si ritrova con un centravanti fondamentalmente inutile ed ormai detestato dal 99% dei tifosi. A Roma è entrato anche bene in partita, ha preso botte e tenuto alta la formazione di Gattuso in un momento in cui la Lazio spingeva con intensità, poi ha avuto la palla del vantaggio a un soffio dai rigori ma ha pensato bene di sparare in curva l’ottimo assist di Bonucci, col portiere sdraiato a terra e già pronto ad imprecare, e l’inesistente marcatura della difesa. Logico che ormai Kalinic venga beccato dal pubblico ad ogni errore, logico che la gente ora si aspetti Cutrone (che è oltretutto il capocannoniere del Milan) o in alternativa André Silva, logico che la punta slava sia in questo momento sull’orlo di una crisi di nervi. Nel Milan predisposto da Gattuso tutto funziona come un orologio, in cui però un paio di meccanismi continuano ad incepparsi; per il tecnico calabrese, due nodi da sciogliere per avere una macchina da guerra senza falle apparenti.