26 aprile 2024
Aggiornato 04:30
Calcio

Il Milan 1998-99: lo scudetto dell’uomo normale Zaccheroni

Il racconto di un trionfo inaspettato e sorprendente, al timone un tecnico semplice ma preparato, capace di riportare al vertice una squadra in crisi

MILANO - Sulla bocca di tutti oggi c’è il Leicester, la piccola ed agguerrita squadra inglese che sta dominando la Premier League per coronare un sogno quasi impossibile ma ora davvero a portata di mano. Artefice del miracolo è Claudio Ranieri, allenatore spesso sottovalutato per la sua aria buona, per il suo essere troppo normale. Ranieri non ha l’aspetto e i modi da star come Guardiola o Mourinho, né la rabbia sfrenata in panchina di Conte, eppure sta conducendo una squadra praticamente ignota anche in Inghilterra a conquistare il titolo nazionale, impresa sensazionale di cui tutta Europa si è ormai innamorata. Come Ranieri, anche Alberto Zaccheroni nella sua carriera è stato più volte etichettato come allenatore poco di grido, troppo buono col suo aspetto di classico romagnolo pane…ehm, piadina e salame. Eppure Zaccheroni ha vinto nella sua carriera, e neanche poco: ha raggiunto la salvezza in serie B col Cosenza nonostante 9 punti di penalizzazione, ha guidato l’Udinese al terzo posto in serie A, ha allenato Milan, Lazio, Inter e Juventus prima di vincere la Coppa d’Asia col Giappone, la nazionale più forte d’oriente, e diventare un idolo del Sol Levante. La scalata del tecnico di Cesenatico ha avuto forse il suo apice nel maggio del 1999 quando condusse un ritrovato Milan alla conquista dello scudetto numero 16 della storia rossonera, un titolo inaspettato, certo non incredibile come l’eventuale successo del Leicester, ma sicuramente meno scontato di altri.

Ricostruzione

Il Milan che si raduna nell’estate del 1998 è un gruppo depresso, reduce da due campionati pessimi, chiusi all’undicesimo e al decimo posto dopo anni di trionfi, in attesa di una ricostruzione fortemente voluta da Berlusconi e Galliani, ma non semplice da attuare. L’esperimento legato a Tabarez è fallito, così come i ritorni di Sacchi e Capello che avevano ormai esaurito la loro vena vincente in rossonero; la dirigenza milanista vuole rinnovare, tirare una riga sul passato e girare pagina: vanno via pezzi storici della squadra come Marcel Desailly e Dejan Savicevic, va via anche Patrick Kluivert, deludente nonostante le credenziali di uno dei migliori centravanti d’Europa, in panchina arriva Alberto Zaccheroni, tecnico che ha appena portato l’Udinese al terzo posto; da Udine sbarcano pure il terzino danese Thomas Helveg e soprattutto il centravanti tedesco Oliver Bierhoff, capocannoniere dell’ultimo campionato con 28 reti messe a segno. Il Milan si ringiovanisce pure con gli arrivi del promettente difensore centrale Luigi Sala e con il ritorno del centrocampista Massimo Ambrosini dopo l’anno in prestito al Vicenza; a loro si aggiungono elementi di esperienza, primo fra tutti il roccioso stopper argentino Fabian Ayala. La squadra di Zaccheroni, rinnovata e ricostruita dalle fondamenta, sa di non partire come favorita e il tecnico rossonero sa che non sarà facile scrostare dai muri di Milanello quell’alone di insicurezza che si è fatto largo nelle ultime due disastrose stagioni. E l’inizio è in effetti tutt’altro che roseo: il Milan perde 2-0 in casa del Torino (formazione di serie B) l’andata del primo turno di Coppa Italia, apparendo timido ed impacciato, anche se Zaccheroni chiede pazienza ai critici e sostegno ai tifosi, già esasperati: il Milan è andato male, è vero, ma c’è tempo per risalire e per trovare l’amalgama giusta in un gruppo tutto nuovo. Nella prima giornata di campionato, sabato 12 settembre 1998, i rossoneri si ritrovano in parte battendo per 3-0 il Bologna, ma soffrendo più di quanto non dica il risultato finale, come riconosciuto da Zaccheroni a fine gara: «Questa squadra ha ancora paura - affermerà il tecnico - ed è forse normale dopo due anni complicati. Sta a me togliere questa paura e rendere questo gruppo sicuro di sé». Inizia a piacere l’allenatore di Cesenatico, si prende le sue responsabilità e lavora per la crescita della squadra: emblematiche sono le giornate numero tre e quattro: al terzo turno i rossoneri perdono 3-1 a San Siro contro la lanciatissima Fiorentina di Trapattoni e Batistuta che sarà protagonista assoluta di tutto il girone d’andata, mentre la settimana successiva la squadra di Zaccheroni esce vittoriosa 2-0 da Venezia. Ma il tecnico ribalta i giudizi affermando: «A Venezia i miei giocatori hanno giocato malissimo, penso che abbiamo molto più da imparare da una gara persa come quella contro la Fiorentina, piuttosto che da una vittoria come quella di oggi in una prestazione che se ripeteremo in futuro non ci porterà da nessuna parte». E’ critico Zaccheroni, vuole che i suoi calciatori si comportino in un certo modo in campo, che siano aggressivi e tengano palla, mentre a Venezia la squadra rossonera è apparsa passiva rischiando più volte di subire gol dalla formazione veneta. Il girone d’andata del Milan va avanti con alti e bassi, passando dalla sconfitta di Cagliari alla brillante vittoria contro l’Udinese o al successo al 92’ contro la Lazio, inframezzato dal pesante ko di Parma. Zaccheroni modella anche lo schieramento tattico, abbandonando il tridente d’attacco in linea e passando al modulo con il fantasista e l’inserimento di Zvonimir Boban in pianta stabile, una mossa che sarà determinante. Cambia subito anche il portiere: il tedesco Lehmann, pessimo nelle prime uscite, lascia il posto al vecchio ed affidabile Sebastiano Rossi, decisivo ad esempio nel 3-2 contro la Roma con un calcio di rigore parato a Totti.

Risalita ed aggancio

Zaccheroni è bravo a compattare il gruppo, non lascia nessuno ai margini della rosa, anzi, anche i meno impiegati come N’Gotty e Ganz sono coinvolti e risultano decisivi: il difensore francese decide la sfida di Bologna segnando su punizione al 90’ la rete del 3-2 (tre punti pesantissimi), l’attaccante friulano è l’arma in più dei rossoneri a partita in corso, segna reti decisive nell’1-0 al Cagliari e nel 2-1 al Venezia. Bierhoff continua a segnare con regolarità, Leonardo si scopre goleador agendo come perfetta seconda punta, Boban dispensa ordine, assist e diventa rigorista della squadra. Il Milan nel girone di ritorno non perde mai e, complice il ridimensionamento della Fiorentina, i balbettamenti del Parma e l’annata disastrosa di Juventus e Inter, si aggancia alla capolista Lazio di Eriksson e prova a tallonare i biancocelesti, favoritissimi per la vittoria finale. Con Nesta in difesa, Veron, Nedved e Conceicao a centrocampo, Salas e Vieri in attacco, la squadra romana appare irraggiungibile per il Milan, ma Zaccheroni nella sua umiltà infonde coraggio e sicurezza alla sua squadra, sostiene che l’importante è rimanere nella scia della Lazio, acquisire consapevolezza e vincere, perché viaggiare a fari spenti potrebbe favorire proprio il gruppo rossonero, avvantaggiato dalla minor pressione. Una delle svolte arriva il 14 marzo: il Milan viene raggiunto sul 2-2 dall’Inter nel derby, la Lazio ha la possibilità di piazzare l’allungo decisivo perché gioca ad Empoli in casa dell’ultima in classifica, ormai spacciata; i biancocelesti prendono sottogamba l’impegno, attaccano solo nell’ultima mezz’ora ma non basta: Empoli-Lazio finisce 0-0, la squadra di Eriksson resta avanti ma capisce di aver sciupato un’occasione incredibile per chiudere i conti in chiave scudetto. Il 3 aprile, poi, lo scontro diretto fra Lazio e Milan finisce 0-0 ed i punti di distacco a sette giornate dalla fine del campionato restano 7, un solco praticamente incolmabile.

Il sorpasso

Ma nell’ambiente milanista sono tutti compatti: il pubblico è tornato a riempire San Siro, la società sprona allenatore e calciatori a crederci fino alla fine, la Lazio è forte, ha 7 punti di vantaggio ma non è invincibile, il Milan è fresco e non ha nulla da perdere; nel girone di ritorno i rossoneri hanno perso solo una partita, a Roma contro i giallorossi, per il resto si sono dimostrati costanti anche se non spettacolari. La squadra di Zaccheroni è caparbia, non molla mai, vince in rimonta contro il Parma grazie ad una zampata di Maurizio Ganz, simbolo della combattività del Milan, un attaccante grintoso, rabbioso, pochi gol ma sempre determinanti. Fra l’11 e il 18 aprile, la Lazio perde la testa: prima si fa sconfiggere nel derby dalla Roma per 3-1, poi con lo stesso punteggio perde anche la gara casalinga contro la Juventus: se il Milan vince a Udine, proprio davanti ai vecchi fan di Zaccheroni, si porta ad un solo punto di distacco dai romani: il tecnico milanista alla vigilia della sfida in Friuli si presenta in conferenza stampa con la solita tranquillità, anzi, parla quasi più della sua vecchia Udinese che del suo nuovo Milan. In realtà il gruppo rossonero sa quello che vuole e quello che deve fare, è consapevole dell’opportunità, la gara di Udine è un ora o mai più da non sciupare: la partita si trasforma in un trionfo, i rossoneri stravincono 5-1 e si trovano a respirare sul collo di una Lazio in evidente difficoltà. Ora, seppur secondi in classifica, gli uomini di Zaccheroni vedono la strada in discesa verso lo scudetto perché hanno innestato la marcia giusta, mentre la Lazio sbanda paurosamente mantenendo a stento in carreggiata una vettura veloce ma mezza ingolfata. Mancano cinque giornate: la Lazio vince, il Milan ribatte e si mantiene sempre ad un punto di distanza; il 2 maggio a San Siro arriva la Sampdoria, in piena lotta per non retrocedere. Sembra facile per il Milan che segna subito con Ambrosini e resta in superiorità numerica alla fine del primo tempo. Ma la ripresa, mentre la Lazio passeggia a Udine, diventa un calvario per Bierhoff e compagni: Montella pareggia, il difensore sampdoriano Franceschetti prende una traversa clamorosa, poi lo stesso Montella coglie il palo, mentre il Milan sembra annichilito, incapace di reagire. Mancano dodici minuti al 90’ quando Leonardo trasforma una punizione magistrale riportando in vantaggio i rossoneri; sembra fatta, ma l’orgoglio e la disperazione della Sampdoria producono il 2-2 dello scatenato Franceschetti. E’ ormai finita, il Milan non ha la forza di riportarsi in avanti, a Udine i calciatori laziali già si abbracciano per lo scampato pericolo, ma non hanno fatto i conti con il carattere di Maurizio Ganz: la squadra di Zaccheroni, dopo aver rischiato il gol del 2-3, guadagna un angolo che Ambrosini calcia quasi senza guardare: in area la palla scorre via, Ganz la acciuffa con una mezza rovesciata che incoccia sul gomito di Castellini e rotola in rete lenta, beffarda ed inesorabile. San Siro esplode e corre metaforicamente dietro all’impazzito Ganz che è una furia, urla con gli occhi fuori dalle orbite e le vene del collo che minacciano l’evasione dalla gola dell’ex attaccante dell’Atalanta. Il Milan è ancora vivo, il 3-2 fortunoso su una jellatissima Sampdoria ha infuso ai rossoneri la convinzione che questo sia pure un anno fortunato; la Lazio sembra un condannato a morte che attende solo l’esecuzione della sentenza che arriva sabato 15 maggio 1999: il Milan travolge l’Empoli per 4-0, i biancocelesti non vanno oltre l’1-1 a Firenze: è il sorpasso che ormai tutta Italia ha già pronosticato, il Milan ad una giornata dalla fine è in testa al campionato, deve vincere a Perugia per cucirsi il tricolore sulle maglie, ma il più sembra fatto.

Il trionfo

Nella settimana che precede Perugia-Milan, Zaccheroni si mostra sereno, deve solo mantenere la calma in un gruppo che va ormai in campo col pilota automatico e che rischia solo di farsi venire il braccino del tennista all’ultima curva di una corsa quasi perfetta. Il tecnico romagnolo cancella dalla testa dei suoi calciatori le insicurezze di inizio stagione, nello spogliatoio di Perugia dice: «Siamo in testa noi, rimaniamoci». Parole semplici, carica non esagerata, clima perfetto per andarsi a riprendere uno scudetto che a Milano manca da tre anni. La vittoria di Perugia è più sofferta del previsto: segna l’argentino Guglielminpietro, uno dei capolavori di Zaccheroni, attaccante inconcludente trasformato in utilissimo tornante di centrocampo, poi raddoppia Bierhoff. Il Perugia torna in partita su rigore, poi a un quarto d’ora scarso dalla fine, il Milan è salvato dal giovane portiere Christian Abbiati che proprio un girone prima ha preso il posto di Rossi, espulso ed impazzito contro gli umbri dopo un’aggressione all’attaccante Bucchi, culminata con espulsione e 5 giornate di squalifica. Proprio Bucchi lascia partire un destro dal limite dell’area che Abbiati devia in angolo con uno slancio poderoso; è l’ultimo sussulto del campionato, il Milan non rischia più nulla e festeggia uno scudetto inaspettato e forse per questo più goduto. Il merito di Alberto Zaccheroni è evidente, ha calmato e gestito uno spogliatoio in subbuglio, rigenerato calciatori che sembravano spenti come Maldini, Albertini e Boban, autori di un’annata coi fiocchi, così come Weah, così come i giovani Abbiati, Sala ed Ambrosini, fra i migliori calciatori della serie A. Il Milan vince uno scudetto fra lo scetticismo e l’iniziale indifferenza generale, guidato da un tecnico preparato e sicuro di sé, forse non un personaggio da copertina, forse perché non assomiglia ad un divo da tv ma ad un comune vicino di casa che come ognuno di noi va a buttare la spazzatura in tuta e ciabatte. Non serve la grinta dura e la mascella inclinata per avere successo nel calcio, basta saper lavorare e dosare umiltà ed ambizione: il Milan 1998-99 ha dimostrato come vincere da non favoriti, che sia da buon augurio per il Leicester, compagine non certo blasonata come quella milanista, ma umile e dedita al sacrificio, guidata da un uomo normale che come Zaccheroni si sta avvicinando ad un traguardo sognato, storico ma evidentemente meritato.