19 aprile 2024
Aggiornato 21:00
Licenziato dopo la leucemia

Torna felicemente al lavoro dopo la leucemia, ma viene licenziato il giorno del suo compleanno

Un 56enne, torna al lavoro dopo aver combattuto contro la leucemia, ma il giorno del suo compleanno lo licenziano «per giustificato motivo»

Licenziato dopo la leucemia
Licenziato dopo la leucemia Foto: Shutterstock

Ci sono situazioni che vorresti vedere solo in un film. Spesso, però, la realtà supera di gran lunga la fantasia. E le ingiustizie – si sa – sono una prerogativa umana, specie in alcuni posti di lavoro. La vittima, in questo caso, è un pover’uomo affetto da leucemia. Dopo aver combattuto diversi mesi con una malattia di tale rilevanza e cure piuttosto devastanti, decide di tornare al lavoro. Ed è molto felice di poter finalmente riprendere la sua vita di sempre, ma al posto di una lettera di bentornato riceve una comunicazione di licenziamento. E gli viene recapitata proprio il giorno del suo compleanno.

Giustificato motivo?
Si pensa sempre che i datori di lavoro non siano solo imprenditori ma anche persone, in termini di umanità e sensibilità. E se per fortuna in molti posti è davvero così, in altri ci si deve scontrare con uomini o donne che di fronte ai propri occhi vedono solo un impiegato e non una persona umana con i propri limiti e difficoltà. Evidentemente, il paziente affetto da leucemia – in tal senso – non è stato molto fortunato. Fino a qualche mese fa, infatti, era il capo di stabilimento di una nota azienda di vernici di Orbassano. Recentemente, però, si è visto recapitare presso il proprio domicilio una lettera di licenziamento «per giustificato motivo oggettivo».

La sua storia
Come riportato da La Repubblica, un uomo di cinquantasette anni, capo di stabilimento della produzione di vernici di un’azienda di Orbassano, pare essere stato licenziato proprio il giorno del suo compleanno. Lavorava lì da quasi vent’anni e aveva iniziato come addetto alla produzione, ma aveva fatto molta carriera passando a un contratto a tempo indeterminato. Ha sempre dato il meglio di sé nel posto di lavoro fino al novembre dell’anno scorso quando - a seguito di diversi episodi di febbre alta e relativi approfondimenti - ha scoperto di essere affetto da leucemia.

L’inizio dell’inferno
Chiunque assista a una diagnosi di leucemia – o altre forme cancerogene – si vede precipitare tutta la propria vita, tutte le speranze e l’intero futuro in un solo attimo. In breve tempo bisogna fare delle scelte importanti e, soprattutto, bisogna sottoporsi a cure che fanno più paura della malattia stessa. Per fortuna l’uomo ha trovato dentro sé il coraggio di combattere e le terapie, a poco a poco, gli hanno dato la possibilità di vedere un po’ di luce alla fine del tunnel. Dopo quasi un anno, a settembre del 2017, può dire di aver vinto la sua battaglia ed ha un solo desiderio: poter ritornare alla sua vita di sempre, lavoro compreso.

La visita medica
Per essere certo di poter fare il grande passo l’uomo si sottopone a una visita con il medico aziendale. E il responso è positivo, anche il dottore gli dà il via libera: può finalmente tornare a lavorare. Ma per qualche strana ragione l’azienda tergiversa e perde tempo. Poi la comunicazione per raccomandata, recapitata presso il suo domicilio proprio il giorno del suo compleanno: licenziato.

Nessun tentativo di conciliazione
Il datore di lavoro tenta una conciliazione, ma il dipendente la rifiuta: lui rivuole il suo posto di lavoro. Per tale motivo ha richiesto l’assistenza della dalla Cgil Filctem e il tutto presto finirà davanti al Tribunale del lavoro. Ma l’azienda ha non si ritiene colpevole: è un caso che lui fosse stato malato e assente dal luogo di lavoro. Il licenziamento, infatti, sembra sia dovuto a un problema economico. Ma, guarda a caso, nessun’altra persona è stata licenziata per abbattere i costi. Per tale motivo la Cgil ritiene che il suo assistito sia stato doppiamente danneggiato: «perché colpisce una singola persona che oltre che malata è ancora in cura». Insomma, solo il tribunale potrà valutare realmente la situazione, certo è che a prima vista, pare proprio un atto discriminante nei confronti di una persona che – forse – avrebbe più diritto delle altre ad avere un lavoro stabile.