24 aprile 2024
Aggiornato 17:00
Canakinumab e infiammazione

Farmaci: arriva l'antinfiammatorio che previene infarto e ictus

Un nuovo studio presentato al congresso europeo dei cardiologi e pubblicato sul NEJM dimostra che è possibile tagliare di oltre il 30 per cento la chirurgia bypass e diminuire il rischio di infarto, ictus e cancro riducendo l’infiammazione sistemica

Il farmaco Canakinumab ha mostrato di ridurre infiammazione e rischio di infarto
Il farmaco Canakinumab ha mostrato di ridurre infiammazione e rischio di infarto Foto: Shutterstock

BARCELLONA – Ridurre l’infiammazione sistemica o organica per agire su più livelli contro numerose e gravi malattie. Questo l’obiettivo sempre più presente nella ricerca medica. Già numerosi studi avevano suggerito proprio che dietro alle malattie cardiovascolari, al cancro e altri disturbi più o meno gravi vi fosse proprio l’infiammazione. Ecco perché era necessario trovare un modo per ridurre, se non eliminare del tutto questa condizione. Ora pare che grazie a un farmaco, il canakinumab, tutto questo sia possibile. E ne hanno parlato i cardiologi in congresso a Barcellona per il Congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC), dove il dottor Paul M. Ridker, autore dello studio e direttore del Centro per la prevenzione delle malattie cardiovascolari al Brigham and Women’s Hospital di Boston (USA) ha presentato i promettenti risultati del suo studio pubblicato su NEJM (New England Journal of Medicine).

Dalle malattie autoimmuni al cuore
Il farmaco canakinumab è un anticorpo monoclonale anti interleuchina 1β, utilizzato nel trattamento di malattie infiammatorie autoimmuni come l’artrite reumatoide. Ed è proprio la capacità del medicinale di ridurre l’infiammazione che ha attirato l’attenzione anche su altre patologie che possono essere proprio il risultato di questa condizione. Gli effetti del canakinumab sono stati trovati essere efficaci anche nel ridurre il rischio di infarto, di ictus e perfino rallentare la progressione del cancro al polmone.

Non solo colesterolo
In un periodo in cui il ruolo del colesterolo viene rimesso in discussione, specie il colesterolo ‘buono’ o HDL, il team di ricerca guidato dal dottor Ridker ha trovato che proprio il colesterolo non può essere il solo responsabile degli eventi cardiovascolari. Non a caso, i ricercatori hanno osservato che circa la metà degli infarti si verifica in persone che non hanno livelli di colesterolo eccessivamente elevati. In più, quasi un quarto dei pazienti che hanno subìto un infarto sono vittime di un secondo infarto nell’arco di 5 anni anche se sono in cura con le statine, che sono i farmaci utilizzati proprio per tenere sotto controllo i livelli di colesterolo. Ecco perché, secondo gli scienziati, il colesterolo non può essere considerato l’unico responsabile di eventi cardiovascolari, ma è ragionevole pensare che l’infiammazione giochi un ruolo importante. Alti livelli per esempio di Proteina C-reattiva sono considerati un noto marcatore di rischio cardiovascolare.

Inibire l’infiammazione
Partendo dunque da concetto che l’infiammazione possa avere un ruolo nelle malattie cardiovascolari, Ridker e colleghi hanno voluto comprendere se la sua riduzione potesse portare benefici a coloro che, per esempio, avevano già avuto un infarto o un ictus. Ecco i motivi che hanno spinto a condurre questo studio, denominato CANTOS (Canakinumab Anti-inflammatory Thrombosis Outcomes Study), basato su ben 25 anni di ricerca sull’argomento. «Questi risultati rappresentano il risultato finale di più di due decenni di ricerche, derivanti da un’osservazione critica: metà degli attacchi di cuore si verificano in persone che non hanno il colesterolo alto – ha commentato Ridker – Per la prima volta siamo stati in grado di dimostrare che abbassare l’infiammazione riduce il rischio cardiovascolare. Questo – prosegue l’autore – ha implicazioni di vasta portata. Ci spiega che sfruttando un modo completamente nuovo per curare i pazienti, mirando all’infiammazione, possiamo migliorare significativamente i risultati in alcune fette della popolazione ad alto rischio».

Lo studio
Per questo studio, i ricercatori del BWH hanno analizzato l’attività del canakinumab nel ridurre l’infiammazione andando a inibire l’interleuchina in oltre 10mila pazienti che avevano avuto un infarto, e che mostravano elevati livelli di proteina C-reattiva ad alta sensibilità – segno che era presente una condizione di infiammazione. Tutti i partecipanti seguivano una terapia standard per ridurre il colesterolo, assumendo le statine. Dopo di che i partecipanti sono stati suddivisi in gruppi atti a ricevere un’iniezione trimestrale di 50, 150 o 300 milligrammi di canakinumab o, per il gruppo di controllo, un placebo. I paziento sono poi stati seguiti per quattro anni.

Agisce anche contro il cancro
Dopo questo lasso di tempo si è scoperto che i risultati preliminari andavano ben oltre l’obiettivo di ricerca iniziale, focalizzato sugli eventi cardiovascolari. Ma si è scoperto che il canakinumab mostrava un’intensa attività anticancro, andando a ridurre sensibilmente l’incidenza e le morti per tumore, e in particolare per quello ai polmoni. E più era alta la dose, più si verificava l’effetto positivo. «Abbiamo verificato che in pazienti ad alto rischio, una molecola che agisce sull’infiammazione ma non sui livelli di colesterolo, è in grado di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari gravi – ha sottolineato Ridker – aprendo la porta a una nuova era della prevenzione in cardiologia. Nella mia vita ho avuto modo di vedere tre grandi episodi di cardiologia preventiva. Nel primo, abbiamo riconosciuto l’importanza della dieta, dell’esercizio fisico e del cessare di fumare. Nel secondo, abbiamo visto il grande valore dei farmaci che riducono i lipidi come le statine. Ora, stiamo spalancando la porta aperta alla terza era».

I risultati
Lo studio ha mostrato che l’uso del farmaco ha ridotto del rischio del rischio di eventi cardiovascolari pari al 15%, inclusi infarto, ictus e attacchi di cuore fatali o non fatali nei pazienti che hanno ricevuto la dose di canakinumab da 150 o 300 mg. I ricercatori hanno anche osservato una riduzione del 17% in un endpoint composito che ha incluso l’ospedalizzazione per l’angina pectoris instabile che richiede urgenti procedure cardiovascolari. La necessità di interventi costosi, come la chirurgia bypass e l’angioplastica, è stata tagliata di oltre il 30%. Fatto degno di nota, queste riduzioni sono al di sopra e al di là della riduzione del rischio osservato dopo l’assunzione delle statine da sole. Nessun effetto è stato osservato con la somministrazione della dose inferiore di 50 mg. «I cardiologi avranno bisogno di conoscere oggi l’infiammazione allo stesso modo in cui abbiamo conosciuto il colesterolo trent’anni fa – ha concluso Ridker – CANTOS è una dimostrazione di come la medicina personalizzata dovrà essere in futuro, in quanto oggi dobbiamo distinguere quei pazienti affetti da malattie cardiovascolari che hanno un rischio residuo di colesterolo da coloro che hanno un rischio infiammatorio residuo. Questi due gruppi richiedono interventi diversi».

Conflitti d’interesse
CANTOS è stato proposto e progettato da ricercatori presso il Centro per la prevenzione delle malattie cardiovascolari presso il BWH, in collaborazione con Novartis. Oltre a Ridker e Libby, altri ricercatori del Brigham e Women’s Hospital che hanno contribuito a questo lavoro erano Jean MacFadyen, Brendan M. Everett e Robert J. Glynn. Ridker e Glynn hanno ricevuto sostegno finanziario per la ricerca clinica da Novartis per condurre il CANTOS. Ridker ha esercitato come consulente di Novartis ed è elencato come co-inventore sui brevetti detenuti da BWH che si riferiscono all’uso di biomarcatori infiammatori in malattie cardiovascolari e diabete che sono stati concessi in licenza a AstraZeneca e Siemens.