24 aprile 2024
Aggiornato 11:30
Il direttore scientifico dello IEO dopo l'uscita dalla direzione di Veronesi

Orecchia: dal profilo genomico ai fondi, ecco come evolve la ricerca sul cancro

Si guarisce di più, si vive più a lungo e meglio. Secondo il direttore scientifico dello Ieo, la ricerca sul cancro, negli ultimi trent'anni, ha fatto enormi passi avanti. Lo Ieo lancia il progetto del profilo genomico con l'obiettivo di fornire ai pazienti dei percorsi personalizzati. Quello che manca all'Italia, per Orecchia, è una legislazione più flessibile sulle donazioni alla ricerca.

MILANO - Lo Ieo (Istituto europeo di oncologia) annuncia la rivoluzione nella ricerca italiana del cancro: il profilo genomico dei pazienti. A comunicarlo è Roberto Orecchia, il nuovo direttore scientifico dell'Istituto, da settembre al posto di Umberto Veronesi. In un'intervista rilasciata al DiariodelWeb.it, il Professor Orecchia illustra il progetto, i vantaggi e gli sviluppi della ricerca sul cancro.

Che cos'è il profilo genomico e come nasce il progetto presentato dallo Ieo?
Il profilo genomico ovviamente non è il profilo genomico generale, ma è un profilo genomico che contenga una serie di informazioni che riguardano le caratteristiche del paziente, oltre che quelle provenienti dal pedaggio istologico. Quindi è una piattaforma genomica che arriverà anche al numero di cento geni, che ha come scopo fondamentalmente quello di verificare l'andamento di alcune condizioni, cioè quando esige una espressione. Questo, di fatto, non è che sia una novità assoluta, ma il progetto nostro è quello di farlo in maniera sistematica e sin dall'inizio del percorso del paziente. Quindi questa caratterizzazione fa parte di un profilo del paziente, che, insieme a tutti gli altri esami classici, entrando in ospedale avrà la possibilità di caratterizzarlo sotto il profilo genomico. Questo, però, sin dall'inizio, una visione del paziente che consenta successivamente di praticare le terapie in maniera più personalizzata. In realtà il progetto del profilo genomico ha anche un altro tipo di visione, perché all'interno di questa piattaforma è possibile anche andare ad identificare altri elementi, come ad esempio quello della particolare suscettibilità del paziente a determinati farmaci o a determinate terapie. Verificare se ci sono espressioni geniche che consentano, in qualche misura, di prevedere che un paziente ha un rischio maggiore rispetto a quello che normalmente si può attendere rispetto alla somministrazione di alcuni farmaci. Questo, naturalmente, potrà evitare di fare trattamenti che non sono efficaci,ma possono anche produrre effetti collaterali spiacevoli. E così, anche per quanto riguarda le terapie come le radiazioni, con la radioterapia, nell'ambito della gestione complessiva delle cure, il profilo permette di avere espressioni che consentano di predire in qualche misura una radioresistenza – quindi un paziente che abbia un'espressione genica non favorevole sotto questo punto di vista non è un buon candidato per fare la radioterapia e quindi ci si può indirizzare verso altre terapie – oppure di radiosensibilità, quindi in questo caso ci si può aspettare una risposta positiva da questo trattamento. Quindi il profilo genomico ha un triplice scopo: quello di personalizzare la terapia mediante i farmaci, quello di avere degli elementi che ci consentano di valutare il rischio eccessivo di effetti collaterali, e quello di andare ad orientare la terapia locale – quindi non solo per quanto riguarda i farmaci, ma ad esempio la radioterapia e tutti gli altri trattamenti locali. La chiave comune di questi tre obiettivi è quella di fornire ai pazienti dei percorsi molto personalizzati. Questo è il concetto complessivo. Questo va a vantaggio del paziente in termini di efficacia, in termini di riduzione dei rischi di effetti collaterali e in termini economici, perché, naturalmente, un trattamento che non dà l'efficacia attesa o che procura problemi aggiuntivi è anche un trattamento che dal punto di vista del sistema sanitario determina un aggravio dei costi, sia dal punto di vista della gestione delle complicazioni che di una terapia che non è completamente efficacie. Quindi si tratta di una razionalizzazione che per questo motivo al di fuori dei test già consentiti nell'ambito del sistema sanitario nazionale, abbiamo fatto un investimento per poter garantire su tutte le patologie più importanti la possibilità di poter inserire, nel profilo complessivo del paziente, anche questo aspetto. Questa è la filosofia su cui nasce questa idea. Questo progetto ha dei precedenti in alcuni Paesi, come negli Stati Uniti, in Italia credo che sia stata mai fatta così.

Alcune ricerche statunitensi affermano che il tumore sia una questione di 'fortuna', che non dipenda, quindi, dallo stile di vita. Ci si riferisce alla genetica? E quanto, invece, lo stile di vita influisce nella prevenzione al cancro?
Ho letto anch'io di questo articolo in cui si diceva che la possibilità di modificare il profilo genomico da parte di fattori ambientali e stili di vita non fosse poi così prevalente, ma buona parte delle mutazioni che poi determinano, facilitano l'insorgere di una malattia sono in realtà casuali. È un po' controversa la questione. In realtà i dati sono consistenti sul fatto che abitudini alimentari, contaminazioni ambientali ecc. possono, in realtà, modificare questa nudola proteica che sta intorno al DNA innescando e facilitando fenomeni di vario genere, in questo caso fondamentalmente cancro. L'unico commento che si può fare a quell'articolo è che quello è un modello matematico. Cioè è stato creato un algoritmo teorico di calcolo di probabilità e nello stesso articolo è specificato che questo stesso modello va poi verificato nell'ambito clinico – tant'è che molti miei colleghi hanno contestato le conclusioni di questo articolo, perché in qualche misura va un po' contro quella che è una buona abitudine da perseguire, cioè un controllo ambientale su quelli che sono possibili modificatori. Che poi questo sia un terzo, due terzi o la metà di probabilità di impatto sul creare un cancro, direi che questo non è importante. Quello che non va bene del discorso dell'articolo è il messaggio che ne può derivare, perché con questo concetto è inutile fare le campagne antifumo né quelle per un cibo sano. Direi che senza essere troppo 'talebani' in questa situazione, ma se c'è un'opera di educazione e sensibilizzazione della popolazione a queste cose, alla fine si eviteranno un bel numero di tumori e di malattie cardiovascolari. Credo che il messaggio debba essere quello di uno stile di vita sano e una vita equilibrato, sotto tutti i punti di vista, oltre ad una certa attenzione all'ambiente in cui viviamo e a quello lavorativo. Penso sia assolutamente necessario. Altrimenti penso che si dia un messaggio non utile, anzi assolutamente negativo.

L'incrocio tra il pubblico e il privato può giovare ala ricerca? Quali risultati sono stati raggiunti oggi da questo connubio?
I fondi pubblici sono fondamentali, perché stabiliscono le linea di quella che può essere una ricerca etica e una ricerca indipendente, quindi non si può prescindere dai fondi pubblici. I fondi privati hanno lo scopo di integrare questo. Insistere nella ricerca costa, se ne fa sempre di più. Bisognerebbe anche porsi il problema di fare una ricerca migliore, una ricerca di qualità. Credo comunque che un privato etico, un privato che investe in maniera non legata al profitto in questo ambito sia fondamentale. E qui i soggetti possono essere diversi, perché quando si parla di ricerca privata si parla di fondi, come l'istituto ha stanziato per il profilo genomico, ma si parla soprattutto di grosse organizzazioni, come all'Airc. Ci sono fondazioni varie che sono enti privati che supportano in maniera importante la ricerca. Ci sono i fondi del ministero, ci sono i fondi regionali, ci sono, soprattutto, i grandi fondi europei. Non è che si possono considerare i fondi pubblici in senso stretto che arrivano a finanziare i progetti. Una volta garantita la qualità del progetto, il connubio tra fondi pubblici e fondi provati è un elemento importante. La ricerca si fa in maniera intensiva e questo è assolutamente necessario. In Italia, purtroppo, anche per ragioni fiscali, non c'è una grossa incentivazione del privato puro che vorrebbe emanare e donare per ricerca in maniera facilitata come avviene in altri Paesi. Sicuramente questo è un aspetto che andrebbe affrontato e anche perfezionato. È chiaro che la ricerca costa e non può essere tutta a carico dello Stato, del pubblico, altrimenti sarebbe una ricerca monca: deve trovare un'integrazione con fondi che arrivino non orientati in profitto in senso stretto, ma che in qualche misura sono assolutamente necessari. Quindi ben vengano fondazioni e charity o persone che possono fare delle elargizioni. Questo aiuta sicuramente.

A che punto è la ricerca sul cancro? Ci sono stati degli sviluppi importanti?
Direi di sì. Nel senso che il panorama è sicuramente cambiato. In alcune malattie si guarisce di più, purtroppo ci si ammala anche di più. Per certi versi forse dipende anche dall'invecchiamento della popolazione, che di per sé è un fatto tutt'altro che negativo. Tuttavia ci si ammala di più, si guarisce di più, ma si vive più a lungo e si vive meglio. È aumentata molto la percentuale in cui è possibile in qualche misura cronicizzare la malattia. Oggi l'atteggiamento è completamente diverso. Oggi si va verso la personalizzazione del trattamento che consente una qualità di vita buona dei pazienti. È chiaro che questo va affrontato in maniera globale e quindi bisogna che ci sia un approccio complessivo. Ma il panorama è sicuramente cambiato, di certo non c'è stata né ci sarà la pillola magica che risolve il problema, ma dall'applicazione sistematica del miglior standard terapeutico, dalla diagnosi precoce, il panorama è sicuramente cambiato. Anche dal punto di vista dei farmaci e della chirurgia che oggi è sempre meno demolitiva e aggressiva. Tutti elementi di qualità che determinano un cambiamento. E nei pazienti è aumentata anche la consapevolezza e questo è importante perché significa cooperare.

Quali i cambiamenti con l'uscita del Professor Veronesi dalla direzione scientifica dell'Istituto?
In istituto rimane l'ufficio del direttore scientifico emerito, la sua presenza è per noi una garanzia. È stato un cambio necessario, l'anagrafe è uguale per tutti. Significa comunque mantenere un'operatività, nel senso che le cose da fare dal punto di vista pratico sono tante, ma tutto in un'ottica di continuità. Io sono ventuno anni che sono nell'Istituto, col Professor Veronesi ci siamo confrontati migliaia di volte. E devo dire che dal mio punto di vista è una logica di continuità. Continuità di concetti fondamentali che lui ha sempre portato avanti: il paziente al centro, terapie meno invasive possibili, sono tutti concetti che sono anche miei. È un cambio 'generazionale', però credo che i principi fondamentali di una ricerca indipendente sono parole chiave che rimangono nella direzione scientifica dell'istituto. Ci confrontiamo spesso, parliamo e discutiamo, come qualche mese fa prima del cambio, anche oggi è assolutamente la stessa cosa. Ci troviamo molto d'accordo.