Il Vaticano vede di buon occhio Mario Draghi al Colle
La Santa Sede, beninteso, non si immischia nelle scelte dei grandi elettori. Ma nel Palazzo apostolico si osserva con estrema attenzione quel che avviene a Montecitorio, i destini dell'Italia e del Vaticano spesso si intersecano

Con la giusta distanza, Oltretevere si osserva l'avvio caotico delle votazioni del presidente della Repubblica con una certezza: l'Italia non dovrebbe sprecare un asso nella manica come Mario Draghi. La Santa Sede, beninteso, non si immischia nelle scelte dei grandi elettori. Ma nel Palazzo apostolico si osserva con estrema attenzione quel che avviene a Montecitorio, i destini dell'Italia e del Vaticano spesso si intersecano.
Molti dei nomi dati per «quirinabili», del resto, vengono dal mondo cattolico: da Pier Ferdinando Casini, cresciuto democristiano e in ottimi rapporti con vescovi e cardinali italiani sin dall'epoca di Camillo Ruini, ad Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, spuntato nei giorni scorsi come candidato ideale di un'alleanza di centro-sinistra capace di raccogliere consensi oltre il proprio perimetro.
In queste ore, ad ogni modo, il perno attorno a cui ruota ogni ragionamento è che Draghi non va bruciato. La Santa Sede ha sguardo ampio e memoria lunga. Ha osservato con apprensione il montare dell'ondata populista e sovranista, ha fatto il tifo senza esitazioni per la tenuta dell'Unione europea, coglie nelle pieghe della pandemia il malessere sociale che può destabilizzare una democrazia già infragilita, e ben oltre l'Italia. Mario Draghi, in questa cornice, è stato accolto con uno sospiro di sollievo. Autorevole, saldamente europeista, capace di difendere gli interessi dell'Italia dalle turbolenze dei mercati. E, non da ultimo, cattolico. Senza sbandierarlo, ma senza esitazioni.
Allievo del liceo Massimo dei gesuiti, a Roma, ha conservato fino ad oggi rapporti solidi con diversi confratelli del papa attuale. Francesco lo aveva nominato alla Pontificia accademia delle scienze già prima che divenisse premier, lo ha riservatamente ricevuto nella sua biblioteca poco dopo l'arrivo a Palazzo Chigi, lo ha pubblicamente sostenuto nel suo impegno per contrastare la denatalità in Italia. Le idee economiche di Bergoglio non collimano con quelle del Draghi di Goldman Sachs, ma la pandemia, e la rinnovata necessità di politiche keynesiane, ha ridotto lo iato. Draghi, insomma, è visto come una garanzia. Sarebbe quanto mai inopportuno riservargli la stessa sorte che toccò ad un altro cattolico doc, Romano Prodi, impallinato dai franchi tiratori all'epoca dell'ascesa di Matteo Renzi.
Ciò non significa che attorno al premier vi sia l'unanimità oltre le mura leonine. Perché nel Palazzo apostolico, in realtà, c'è chi preferirebbe che Draghi rimanesse a Palazzo Chigi per gestire la delicata fase sanitaria ed economica. Chi altri potrebbe fare uscire l'Italia dalla pandemia, negoziando con Bruxelles un felice completamento dell'iter che porterà a Roma i fondi europei? E chi altri riuscirebbe a coagulare un sostegno parlamentare così ampio, tenendo insieme, nel nome del bene comune, partiti altrimenti l'un contro l'altro armati.
In quest'ottica anche in Vaticano c'è chi spera ancora che sia possibile, alla fine, che al Quirinale resti Sergio Mattarella. Il presidente uscente, di certo, è stato un interlocutore prezioso in questi sette anni, argine ai rischi anti-democratici e punto di riferimento popolare. Nessuno, non certo il Papa, vorrebbe intromettersi nella ferma decisione di Mattarella di finire qui la sua presidenza. Ma se la dinamica elettorale si avvitasse e alla fine egli rimanesse capo dello Stato, in Vaticano non ci sarebbe rammarico, anzi. Tra il Papa e il presidente in questi anni hanno trovato «un'empatia di cui c'era e c'è particolarmente bisogno in questo momento storico», ha scritto l'Osservatore Romano quando Mattarella si è recato in Vaticano in visita di congedo da Bergoglio, parlando, con precisa scelta semantica, del «settennato», e non della presidenza, che «volge al termine».
Dalle parti di Casa Santa Marta, ad ogni modo, dove risiede papa Francesco, si vede di buon occhio il presidente del Consiglio traslocare sul Colle più alto. E' vero che Draghi, secondo il Vaticano, ha fatto molto bene a Palazzo Chigi, ma è altrettanto vero che con l'avvicinarsi delle elezioni parlamentari, l'anno prossimo, la sua permanenza rischia di essere ostaggio dei veti incrociati dei partiti. E la sua presenza al Quirinale, invece, sarebbe una garanzia per i prossimi, complessi anni che attendono l'Italia e l'Europa. Quasi un padre della patria che continuerebbe il suo servizio al paese in una posizione più defilata, per certi versi, ma non meno dirimente, soprattutto quando, come già accaduto negli ultimi anni, il sistema partitico si incarta.
Idee che riecheggiano anche nelle parole con le quali il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, ha aperto oggi i lavori del consiglio permanente. «Il Parlamento in seduta comune saprà cogliere il desiderio di unità espresso dal Paese? Non possiamo che auspicarlo nell'interesse generale». Certo, «lo spirito unitario che anima la stragrande maggioranza degli italiani - ha notato l'arcivescovo di Perugia - ha trovato finora un interprete coerente e disinteressato nella persona di Sergio Mattarella, il cui esempio di uomo e di statista si pone ora come un limpido punto di riferimento nelle scelte che devono essere compiute alla luce della Costituzione. A lui rinnoviamo il nostro saluto rispettoso e grato».
«Il desiderio comune di dialogo e di solidarietà, peraltro, nei giorni scorsi - ha proseguito Bassetti - si è manifestato con un'ampiezza e una spontaneità confortanti intorno alla figura di David Sassoli, la cui vicenda terrena si è consumata così prematuramente. Sarebbe un'imperdonabile superficialità non dare ascolto a questo sentimento collettivo che trova il suo fondamento nel lascito umano e ideale di Sassoli. Nel suo impegno professionale e come uomo delle istituzioni europee, egli si è sempre speso per una società più solidale e più attenta ai bisogni dei giovani e degli ultimi, sostenendo in ogni sede - ha concluso il porporato toscano - la necessità di abbattere muri e costruire ponti».
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