19 marzo 2024
Aggiornato 05:30
L'intervista

Trabucco: «Lo stato di emergenza è pericoloso, dà troppo potere al Presidente del Consiglio»

Il costituzionalista Daniele Trabucco spiega al DiariodelWeb.it i pericoli contenuti nel prolungamento delle misure straordinarie, in un quadro già di crisi dello Stato di diritto

Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte Foto: Filippo Attili ANSA

La Costituzione è tornata agli onori delle cronache di attualità politica il mese scorso, in coincidenza con il referendum che ha tagliato il numero dei parlamentari. Ma c'è anche chi pone dei problemi ben più profondi riguardo alla nostra Carta: è il caso di Daniele Trabucco, professore associato di Diritto costituzionale e comparato, che mette in luce come la legge fondamentale del nostro Stato sia ormai del tutto anacronistica e inutile ad affrontare le sfide cruciali dei nostri tempi. E il colpo definitivo rischia di averglielo assestato la pandemia, con l'abuso dello stato di emergenza, recentemente prorogato fino al 31 gennaio. Ecco che cosa ha spiegato il costituzionalista ai microfoni del DiariodelWeb.it

Professor Daniele Trabucco, lei ha definito la nostra Costituzione «vecchia» e «spaesata». Immagino che non sia certamente bastato il recente referendum costituzionale a migliorare le cose.
Assolutamente no, magari fosse solo quello il problema! La Costituzione è vecchia perché si colloca in un periodo storico ben preciso, quello del secondo Dopoguerra, dunque risente del clima dell'epoca e fotografa una realtà politica, sociale e culturale molto diversa da quella odierna. La Carta entra in vigore prima del fenomeno dell'integrazione europea, prima dell'industrializzazione, prima della globalizzazione. Oggi lo scenario è profondamente cambiato.

Ma la Costituzione non dovrebbe sancire quei princìpi validi sempre, a prescindere dal contesto storico contingente?
Sicuramente, ma il contesto storico oggi ha travalicato quei valori, senza che ce ne rendessimo conto. Penso, ad esempio, al principio fondamentale dell'uguaglianza sostanziale: oggi gli Stati, invece di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, cercano di essere prima di tutto credibili sui mercati internazionali. Basta guardare le leggi di Bilancio che si sono susseguite, indipendentemente dal colore politico, dove la priorità è diventata quella di tenere sotto controllo lo spread.

La tenuta dei conti è prevalente rispetto al benessere dei cittadini?
Direi, più in generale, che le ragioni economiche prevalgono su quelle politiche. L'affermazione dell'ordine neoliberista, soprattutto dopo il trattato di Maastricht del 1992, non rende più adatta la Costituzione a rispondere efficacemente alle sfide della società contemporanea, che vanno al di là dei confini dei singoli Stati nazionali.

In queste circostanze che significato ha la sovranità dello Stato?
Rimane formalmente uno degli elementi costitutivi dello Stato stesso, ma è fortemente indebolita ed evanescente: sia all'interno che all'esterno, ovvero come indipendenza rispetto agli altri Stati. I confini non esistono più e le logiche di mercato superano di gran lunga le istituzioni nazionali e comunitarie. Tanto che qualcuno oggi comincia a parlare di una sovranità globale e non più statale.

Portando questo discorso alle estreme conseguenze, è in dubbio la stessa tenuta della struttura democratica.
Sì, perché le logiche che permeano le istituzioni sono principalmente di natura economico-finanziaria, dunque sfuggono al controllo democratico. I mercati non rispondono a poteri democratici, sono privi di responsabilità politica. Questo significa che oggi lo Stato costituzionale non è più solo in crisi, ma sta arrivando all'inizio della sua fine.

La soluzione che lei invoca è una nuova fase costituente.
La mia è una provocazione, ma non priva di fondamento. Per un costituzionalista come me, parlare oggi di una fase costituente potrebbe sembrare un'eresia. Però io credo che l'unica risposta possibile sia quella di rivedere il concetto stesso di Stato, le sue funzioni, le sue strutture essenziali. Una fase costituente dovrebbe dar vita ad un nuovo ordine, ad una nuova organizzazione, ad un nuovo assetto del potere politico, che sia in grado di adattare la Costituzione alle esigenze dei tempi, controllando il mercato e regolando la globalizzazione.

Ma chi potrebbe farsi carico a livello politico, oggi, di un compito tanto gravoso?
Attualmente non vedo, né a destra né a sinistra, forze politiche in grado di farlo. Mancano la competenza, l'autorevolezza e la forza. Né sarebbe giusto affidarlo agli esperti o agli addetti ai lavori, altrimenti si correrebbe il rischio di cadere nella tecnocrazia. Dovrebbe essere un momento spontaneo di popolo, che rimettesse nelle mani del corpo elettorale il potere sovrano di cui rimane titolare. La convocazione di una nuova assemblea costituente dovrebbe avvenire in modo pacifico e democratico, con un passo indietro degli attuali organi costituzionali. Mi rendo conto che questa è un'ipotesi di difficile, se non impossibile, realizzazione. Ma proseguire sulla strada attuale potrebbe portarci alla fine definitiva dello Stato.

Lo stato di emergenza in cui ci troviamo, e che è stato rinnovato, è un'ulteriore aggravante?
Sì, perché pone due problemi. Il primo è la normativa vigente, perché in Italia lo stato di emergenza non è costituzionalizzato. Il nostro ordinamento non ha una norma specifica, al di là dello stato di guerra: dunque lo si è disciplinato con il codice della protezione civile. Che però esautora completamente gli organi di garanzia come il parlamento e il presidente della Repubblica: oggi la dichiarazione dello stato di emergenza a livello nazionale è affidata ad una deliberazione del Consiglio dei ministri, non sottoposta ad alcun controllo preventivo di legittimità.

E il secondo problema?
È l'abuso degli stessi decreti legge, che hanno bisogno di misure immediatamente applicabili. Invece affidano la loro implementazione o addirittura l'integrazione ai famigerati Dpcm, atti formalmente amministrativi ma sostanzialmente normativi, anch'essi senza alcun controllo preventivo. Questo pone problemi di marginalizzazione del parlamento, ma anche di efficacia dello stesso decreto legge. Si rischia di affidare ad un organo solo, il presidente del Consiglio dei ministri, un potere enorme: la possibilità di decidere su aspetti che vanno a toccare i diritti costituzionali fondamentali. Questo, dal mio punto di vista, è assolutamente pericoloso. Io ho parlato di fibrillazione dello Stato di diritto: il problema è che, andando avanti così, la fibrillazione, se non curata, può portare addirittura all'infarto.