19 marzo 2024
Aggiornato 04:00
Banche

«Per Padoan a Unicredit c'è un conflitto di interessi grande come una banca»

Alessandro Di Battista, con un editoriale pubblicato da Tpi, spara alzo zero contro l'indicazione dell'ex ministro PD dell'Economia, Pier Carlo Padoan, al vertice di Unicredit

L'ex Ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan
L'ex Ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan Foto: Giuseppe Lami ANSA

«Per Padoan a Unicredit c'è un conflitto di interessi grande come una banca». E d'altra parte «le ingiustizie sociali hanno un solo padre: l'accentramento di potere. Ed esiste un solo modo per contrastarlo: risolvere il conflitto di interessi. Per farlo, tuttavia, occorre coraggio e precisione di mira. Ciò che è mancato in passato quando gli stolti guardavano Berlusconi e i potenti mettevano le mani sulla luna». Alessandro Di Battista, con un editoriale pubblicato da Tpi, spara alzo zero contro l'indicazione dell'ex ministro Pd dell'Economia Pier Carlo Padoan al vertice di Unicredit.

«È democratico - domanda Di Battista- un sistema dove chi mette bocca su questioni finanziarie (tra l'altro teoricamente su mandato dei cittadini) proviene o fa carriera negli istituti interessati alle scelte politiche?"

«Il capolavoro dell'establishment - denuncia - non è solo dividere i popoli per meglio controllarli. È soprattutto fargli credere che i responsabili delle crisi economiche e sociali siano gli ultimi: i percettori del reddito di cittadinanza, i pensionati, gli immigrati». Perchè «la beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste», sostiene Verbal Kint, alias Keyser Söze, nel film I soliti sospetti». E «in Italia, la beffa più grande che l'establishment politico, mediatico e finanziario ha fatto, è stato convincere la pubblica opinione che il conflitto di interessi riguardasse solo Berlusconi. Se davvero fosse stato così avremmo una legge sul conflitto di interessi quantomeno dal 2013. La finta sinistra, borghese, conformista, liberista e di sistema ha agitato lo spauracchio berlusconiano da un lato per racimolare qualche voto e dall'altro per nascondere le proprie oscenità dietro al satrapo di Arcore».

«In queste ore - argomenta Di Battista- apprendiamo che Pier Carlo Padoan, dalemiano quando D'Alema contava, renziano quando Renzi credeva di contare, ex-ministro dell'Economia e deputato eletto due anni fa proprio a Siena - la città del Monte dei Paschi - ad aprile diverrà presidente di Unicredit, la seconda banca italiana. Lui, noncurante del gigantesco conflitto di interessi che lo riguarda, pare abbia detto che si dimetterà da deputato. Quanta grazia! D'altro canto, nell'era della «bancocrazia», presiedere un colosso finanziario è un onore, altro che rappresentare la Nazione in Parlamento. Scrivere una legge? Robetta al confronto di guidare una banca».

«L'attrazione fatale tra illustri esponenti del Partito Democratico ed il mondo del capitalismo finanziario - prosegue il beniamino cinque stelle- non è nuova. Chi non ricorda quell'intercettazione tra Fassino e Consorte, numero 1 di Unipol, che mostrava quanto all'epoca segretario dei DS stesse a cuore la scalata alla BNL. Quel «abbiamo una banca?» ha rappresentato per molti ex-sostenitori del centro-sinistra un punto di non ritorno. Per lo meno lo rappresentò per me. Io unii quelle intercettazioni ai bombardamenti su Belgrado durante il Governo D'Alema e alle ignobili parole pronunciate da Violante nel 2003 alla Camera dei Deputati (quando quasi si vantò di non aver toccato il conflitto di interessi di B. e di aver favorito la crescita di Mediaset) e smisi di votarli».

«Riavvolgiamo il nastro. Padoan - ricorda Di Battista- viene scelto nel 2014 da Renzi come ministro dell'Economia e delle Finanze. Resiste al crollo renziano del 2016 e viene confermato al MEF anche da Gentiloni. Fu lui, nel dicembre del 2016, a varare l'ennesima misura salva-banche, una ventina di miliardi messi a disposizione del sistema finanziario da un Consiglio dei ministri durato una manciata di minuti. Di quei 20 miliardi quasi 5 finirono nelle casse di MPS, salvandola, di fatto, dal fallimento. Da allora lo Stato è l'azionista di maggioranza del Monte dei Paschi detenendone il 68% delle azioni. Due anni più tardi, nel 2018, il tecnico Padoan che mai si era lanciato in una campagna elettorale decide di candidarsi alle elezioni politiche. Padoan, romano di nascita, sceglie di presentarsi nel collegio di Siena, città la cui economia è indissolubilmente legata ad MPS. Risultato? Padoan viene eletto deputato con una percentuale del centro-sinistra superiore alla media toscana. Furbo lui. Adesso, dopo essersi preso un impegno con i cittadini, lascia il Parlamento per sedersi su una poltrona più confortevole (probabilmente anche economicamente) e, forse, più rilevante dal punto di vista politico».

«A quanto pare - viene all'oggi Di Battista - proprio Unicredit sarebbe interessata ad acquistare MPS. L'Unione europea, infatti, impone all'Italia di sbarazzarsi piuttosto velocemente delle azioni di MPS e quando si ha fretta di vendere, solitamente, gli affari li fanno i compratori.E con chi dovrebbe trattare tale acquisizione il futuro presidente di Unicredit Padoan? Con Gualtieri, attuale ministro dell'Economia e suo collega di partito, e con Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro, fedelissimo di Padoan. Questo non sarebbe un conflitto di interesse grande come una casa, sarebbe grande come una banca. La commistione tra politica e finanza è una costante degli ultimi anni ed ha raggiunto un livello, per quantità e responsabilità politiche dei coinvolti, indecente».

«Il Mario nazionale (Draghi) - elenca Dibba nel suo editioriale - venne nominato vicepresidente per l'Europa di Goldman Sachs nel 2002, dopo aver lasciato la direzione generale del Tesoro. E proprio come lui anche i suoi successori Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli vennero assunti da due banche d'affari dopo aver concluso il mandato pubblico. Siniscalco, dopo aver fatto il ministro dell'Economia sotto Berlusconi, fu nominato managing director e vicepresidente di Morgan Stanley, altro colosso finanziario americano. Grilli, anch'egli alla guida del MEF, governo Monti, nel 2014, divenne presidente del Corporate & Investment Bank di JPMorgan. Anche Fabrizio Saccomanni, pace all'anima sua, passò dal ministero dell'Economia al mondo bancario. L'ex ministro del governo Letta, nel 2018 venne nominato presidente di Unicredit».

«Sembra che guidare il Dipartimento del Tesoro o il Ministero dell'Economia e delle Finanze - ironizza Di Battiusta- sia propedeutico a far carriera nel sistema finanziario. Un po' come i calciatori promettenti mandati a far gavetta in B prima dell'esordio in serie A. Sarà una coincidenza, così come è certamente una coincidenza il fatto che tre personaggi che in cuor loro vorrebbero succedere a Mattarella, Prodi-Monti-Draghi, abbiano tutti avuto a che fare con Goldman Sachs».

«Potrei citare Claudio Costamagna, Luisa Todini, Massimo Tononi e persino Carlo De Benedetti, nominato nel 2008 nel consiglio di sorveglianza di Rothschild. La lista di uomini politici o, comunque, uomini di potere italiani indissolubilmente legati al capitalismo finanziario non finisce più. Padoan è solo l'ultimo di una lista alla quale si aggiungeranno molti altri, se il Parlamento non approverà una durissima legge sui conflitti di interesse tra politica e finanza. Ne va della nostra democrazia».