4 maggio 2024
Aggiornato 23:30
L'intervista

Cappato: «Perché il Governo non pubblica tutti i dati sulla pandemia?»

Marco Cappato, tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, lancia al DiariodelWeb.it l'appello al premier Conte affinché renda pubblici tutti i dati sulla pandemia

Cappato: «Perché il Governo non pubblica tutti i dati sulla pandemia?»
Cappato: «Perché il Governo non pubblica tutti i dati sulla pandemia?» Foto: Ciro Fusco ANSA

Perché il governo continua a nascondere i dati sulla pandemia? Dietro alla cifra sul numero dei contagi o dei morti che viene diffusa giornalmente c'è infatti un'imponente mole d'informazioni, che potrebbe essere utilizzata dagli scienziati per comprendere meglio il comportamento del virus. Se solo le istituzioni le rendessero note pubblicamente. Il premier Conte lo aveva promesso oltre due mesi fa, ma da allora nulla sembra essersi veramente mosso. Dell'importanza della divulgazione di questi dati, sulla base dei quali vengono decise le chiusure e prese le misure restrittive, parla al DiariodelWeb.it Marco Cappato, tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, che continua a battersi per la loro pubblicazione.

Marco Cappato, dopo la promessa di Conte che cosa si è mosso?
Io non ho visto nulla di nuovo. Era stato anche presentato pubblicamente un accordo con l'Accademia dei Lincei, e già non si capiva perché limitare solo a loro la condivisione dei dati. Ma sarebbe stato comunque meglio di niente: invece non mi sembra che ci sia stato un seguito.

I dati che leggiamo tutti i giorni sui quotidiani sono sufficienti a darci una lettura reale dell'andamento della pandemia?
I dati, per definizione, non sono mai sufficienti. Se si è capaci di trattare le informazioni, più ce ne sono e meglio è. Ma il nostro discorso è molto pragmatico. Ci sono dati che già esistono, o che si potrebbero raccogliere facilmente, e che non si raccolgono oppure non si mettono a disposizione della comunità scientifica.

Quali sono questi dati?
Partiamo da quelli che mancano del tutto. Da dieci mesi, due ex presidenti dell'Istat, Zuliani e Alleva, affermano che per avere una stima della diffusione del virus in Italia l'unico modo è fare come con le indagini elettorali.

Cioè, un sondaggio a campione?
Prendere qualche migliaio di cittadini, con una stratificazione demoscopica e sulla base del territorio, e far loro il tampone rapido. In questo modo si potrebbe avere la proiezione del numero di contagiati in tutte le aree d'Italia. Se questa analisi viene ripetuta dopo qualche giorno si ottiene anche la dinamica del virus.

Perché questa informazione sarebbe così importante?
Per decidere le misure da prendere. Faccio un esempio molto concreto: il Comitato tecnico-scientifico, sabato scorso, ha lanciato la proposta di far diventare automaticamente zone rosse quelle che hanno superato i 250 casi di nuovi positivi ogni 100 mila abitanti. Il governo ha detto di no, giustamente, perché se l'unica cifra che abbiamo è quella dei tamponi, di fatto se ne sarebbe disincentivato l'uso.

Questo significa che le misure restrittive vengono decise dal governo sulla base di dati non affidabili?
Il dato non è mai affidabile in assoluto, nemmeno le stime. Ma i dati dei tamponi non sono gli unici importanti. Queste informazioni servono e fare cinquemila tamponi a campione a settimana non costa nulla. È incredibile che, dopo dieci mesi, non sia nemmeno arrivata una risposta ai due ex presidenti dell'Istat.

Ma senza questi dati come si fa a capire se le misure restrittive funzionano e se i sacrifici che gli italiani stanno facendo hanno un senso?
Le restrizioni sono efficaci, questo è certificato in tutto il mondo. Il problema è: quanto? Più informazioni e analisi si hanno, più si è in grado di prendere misure tempestive e mirate. Per esempio, se nel campione fossero presenti un certo numero di insegnanti, un certo numero di guidatori di autobus, si otterrebbero informazioni anche sulle relative categorie sociali. E magari si capirebbe se la scuola o i mezzi pubblici siano realmente luoghi di contagio così pericolosi.

Insomma, si potrebbero adottare misure più precise, evitando di chiudere se non ce n'è ragione.
Esatto.

Poi ci sono quei dati che già vengono raccolti, ma non sono divulgati.
E in questo modo vanno persi. I dati che riceviamo tutte le sere sono aggregati, cioè messi insieme, passando dal paziente al centro sanitario, all'Ats, alle Regioni, all'Istituto superiore di sanità. Ma se uno ha accesso solo alle cifre complessive non si può più estrapolare i dati disaggregati che c'erano all'inizio. Lo abbiamo dimostrato con la piattaforma che abbiamo creato, CovidLeaks.

Di cosa si tratta?
Un sito in cui le persone possono mandarci, in forma anonima, i dati che hanno a disposizione, magari perché lavorano nelle Asl o in qualche altra struttura. Già guardando quello che è arrivato a noi si capisce l'importanza di questi dati disaggregati.

Quali dati siete riusciti a raccogliere?
Per esempio abbiamo pubblicato i dati sui primi 16 mila morti in Lombardia. Per ciascuno c'è l'età, il Comune, il sesso e l'eventuale presenza di altre malattie. Avendo accesso a questi dati si può incrociarli, ad esempio con le informazioni sull'inquinamento atmosferico, o sul trasporto dei pendolari, o sulla concentrazione di scuole. E cercare di capire se c'è un rapporto tra queste variabili e il Covid.

Questo ci servirebbe per conoscere meglio il virus, in altre parole.
Esatto: il virus, come si muove e le sue dinamiche. Poi saranno gli scienziati, nelle università o nei centri di ricerca, ad intraprendere autonomamente le loro analisi.

Ma per quale motivo questi dati non vengono diffusi? Cosa c'è da nascondere?
Fosse una decisione consapevole e perfida sarebbe totalmente incomprensibile. Secondo me, in emergenza, c'è l'istinto a non disperdere troppo le informazioni, per mantenere il controllo della catena di comando. Bisogna prendersi la responsabilità di decisioni rapide, e questo è giusto, e quindi non ci si vuole troppo esporre alle potenziali critiche, e questo è sbagliato. Ma la critica può essere una ricchezza: questa è la forza delle democrazie liberali.

Quindi chi accusa Conte di una mentalità blandamente ma sostanzialmente autoritaria non sbaglia?
Fosse solo un problema di Conte... Il punto qui è più sistematico. Anche le Regioni potrebbero condividere i dati, anche l'opposizione potrebbe fare rumore su questo aspetto.

È un riflesso condizionato di tutta la politica, dunque?
Ovviamente la responsabilità principale è del governo. Ma se anche Salvini chiedesse formalmente di mettere a disposizione i dati disaggregati, la sua critica sarebbe molto più stringente e meno demagogica.