19 aprile 2024
Aggiornato 21:30
La crisi del covid

Coronavirus in Italia, il bollettino e le notizie di oggi 10 marzo

22.409 nuovi contagi e 332 morti nelle ultime 24 ore. Torna a salire tasso di positività (6,2%). AIFA: «Dati confermano profili sicurezza vaccini». CTS: «Non c'è altra scelta che misure più rigorose»

Coronavirus in Italia, il bollettino e le notizie di oggi 10 marzo
Coronavirus in Italia, il bollettino e le notizie di oggi 10 marzo Foto: ANSA/EPA

Il bollettino quotidiano del Ministero della Salute sulla pandemia dice oggi di 22.409 nuovi contagi e 332 morti nelle ultime 24 ore. 13.752 i guariti. 361.676 i tamponi processati con un tasso di positività che torna leggermente a salire e si attesta al 6,2% (+0,5%). Gli attualmente positivi sono 487.074., di cui 461.365 si trovano in isolamento domiciliare, 22.882 sono ricoverati con sintomi e 2.827 si trovano in terapia intensiva: 253 gli ingressi del giorno (+71) 5.782.615 le dosi di vaccino somministrate in totale.

AIFA: «Dati confermano profili sicurezza vaccini»

L'Agenzia Italiana del Farmaco ha pubblicato il secondo Rapporto di farmacovigilanza sui vaccini COVID-19, riguardante i dati registrati nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza (RNF) fino al 26 febbraio 2021. Le segnalazioni riguardano soprattutto il vaccino Pfizer/BioNTech Comirnaty (96%), che è stato il più utilizzato e solo in minor misura il vaccino Moderna (1%) e il vaccino AstraZeneca (3%).

Complessivamente al 26 febbraio 2021 nella RNF sono state valutate 30.015 segnalazioni su un totale di 4.118.277 dosi somministrate per tutti i vaccini, con un tasso di segnalazione di 729 ogni 100.000 dosi. Un tasso più elevato di quello che abitualmente si osserva per altre vaccinazioni, per esempio quella antinfluenzale, ma coerente con i risultati degli studi clinici e indicativo della speciale attenzione dedicata a questa vaccinazione. L'età media è di 46 anni coerente con l'età media dei vaccinati, in gran parte operatori sanitari. Il 93,6% delle segnalazioni è riferito a eventi non gravi e risulta in linea con le informazioni già presenti nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto dei vaccini.

Per tutti e tre i vaccini gli eventi avversi più segnalati sono febbre, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea (il 93% delle segnalazioni). La frequenza cumulativa di segnalazioni non è differente tra prima e seconda dose per i vaccini Pfizer e Moderna, mentre per il vaccino AstraZeneca non vi sono ancora iniezioni di seconde dosi previste dopo 12 settimane. Gli eventi segnalati sono insorti prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il giorno successivo (87% dei casi).

Le segnalazioni gravi, per le quali è in corso la valutazione del nesso causale con le vaccinazioni, corrispondono al 6,1% del totale, con un tasso di 44 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate, indipendentemente dal tipo di vaccino e dalla dose somministrata. I dati elaborati e presentati nel Rapporto devono essere considerati come descrittivi di un processo dinamico in continua evoluzione vista l'attuale transizione verso un consistente aumento delle vaccinazioni quotidiane. Si ricorda che un ampio numero di segnalazioni non implica una maggiore pericolosità del vaccino, ma è indice dell'elevata capacità del sistema di farmacovigilanza nel monitorare la sicurezza.

Antonelli (Cts): «Non c'è altra scelta che misure più rigorose»

Al Governo «non abbiamo dato un elemento specifico ma fondamentalmente la prima cosa è cercare di ridurre il più possibile le interazioni fisiche interpersonali perché sono quelle che naturalmente possono divenire un veicolo per il contagio. E quello è il primo elemento». Lo ha chiarito Massimo Antonelli, direttore dell'unità di Anestesia e rianimazione del Policlinico Gemelli di Roma e componente del Comitato tecnico-scientifico (Cts) intervenuto a Sky Tg24.

Alla luce dei dati, ha detto, «per portare a una mitigazione ad un declino non c'è altro rimedio che avere delle misure più stringenti e più rigorose come per esempio mitigare la mobilità e ridurla, cercare di avere meno contatti interpersonali e interazioni fisiche che è possibile, insomma l'applicazione di tutte quelle misure già declinate nei vari dpcm che sono misure di contenimento e di mitigazione e che sono quelle che già tutti noi conosciamo. Non possiamo far finta che la situazione sia diversa da quella che è. Siamo tutti stanchi - ha detto - ma le misure di mitigazione, in particolare quelle come quelle prese a Natale, sono necessarie nei fine settimana. Anche nelle zone gialle».

Gimbe: «Virus circola in maniera diversa nelle diverse regioni»

«Il virus non sta circolando alla stessa maniera in tutte le regioni, il dato nazionale non restituisce un quadro omogeneo come è avvenuto in altri momenti della pandemia. Le terapie intensive hanno superato ieri sera la soglia del 30% di occupazione, però bisogna tenere conto che ci sono regioni che arrivano al 67% come il Molise o al 57% come l'Umbria e regioni come valle d'Aosta o Sardegna che sono al 10-12%. Parlare di misure nazionali generalizzate è un capitolo delle misure restrittive, poi è evidente che nelle diverse regioni il virus circola in maniera diversa e ha un impatto sul sistema sanitario diverso». Lo ha detto a Timeline, su Sky TG24, Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.

Sui vaccini «ci sono tre ordini di problemi: le forniture, la rapidità di somministrazione e le categorie a cui sono state somministrate le dosi. Secondo il piano vaccinale, nel primo trimestre dovremmo ricevere 15 milioni e 700mila dosi. Siamo al 10 marzo e formalmente ne risultano consegnate poco meno del 50%. Se le aziende non dovessero incorrere in penali, che scatterebbero alla fine del trimestre, significa che in tre settimane dovremmo ricevere circa 8 milioni di dosi di vaccino. Mi chiedo come faremo a somministrarle».

«Di quelle ricevute - ha proseguito -, ne sono state somministrate circa l'80%, ma in percentuali variabili. Se per Pfizer c'è un parallelismo tra consegne e somministrazioni, per Moderna c'è un po' meno e c'è molto poco per AstraZeneca. Con Pfizer e Moderna si è vaccinato prevalentemente personale sanitario e Rsa, la vaccinazione era logisticamente più semplice da organizzare. Con AstraZeneca ci spostiamo sul territorio e quindi il modello organizzativo regionale, la presenza di un'anagrafe vaccinale, il sistema a chiamata piuttosto che su prenotazione, le risorse umane disponibili stanno creando delle differenze regionali. Poi c'è il problema delle categorie che vengono vaccinate, non abbiamo ad oggi percentuali omogenee di ultraottantenni vaccinati nelle varie regioni, i meccanismi e le priorità regionali stanno funzionando in maniera differenziata».

«Curiamo molto meglio ma nessun passo da gigante»

«Nell'arco di un anno abbiamo imparato a curare molto meglio i pazienti con Covid-19. Purtroppo, dal punto di vista delle possibilità reali di cura, non abbiamo fatto passi da gigante. Lo studio Ammuravid - spiega - è autorizzato e finanziato da Aifa. Eppure fatica a partire perché, nonostante le autorizzazioni centrali, abbiamo difficoltà a livello periferico. E' uno studio su farmaci già noti come attivi nei confronti della malattia, come lo steroide, il remdesivir, il baricitinib. Si tratta di una sperimentazione che dovrebbe rispondere ad alcune domande sulla loro efficacia singola o in combinazione, in una determinata fase di malattia».

Ma «per poter fare tutto questo stiamo combattendo da svariati mesi. L'Italia è il Paese delle regole e della rigidità delle stesse. Il problema è nell'avere sempre miriadi di carte 'a posto', alcune delle quali sono davvero ridondanti». Per quanto riguarda il remdesivir, primo farmaco ad essere autorizzato per trattare Covid 19, «si è dimostrato efficace, in parte, nei pazienti in fase avanzata di malattia. L'obiettivo è andare a vedere se in una fase intermedia possa avere una diversa efficacia». Per l'avvio dello studio «dovremmo essere in grado di reclutare a breve. Si tratta di un trial molto vasto. Una volta partiti sarà necessario qualche mese per avere i risultati. Però, intanto, saranno stati curati bene molti pazienti che temo avremo, visto che siamo all'inizio della terza ondata», conclude Galli.

Bassetti: «Evitare eccesso farmaci per terapia domiciliare»

«Stiamo vedendo un eccesso di prescrizioni di antibiotici, cortisone ed eparina per i soggetti affetti da Covid in terapia domiciliare da parte dei medici di medicina generale ed anche in auto-prescrizione. Non si differenziano i quadri clinici e si mette la medesima terapia per tutti, da chi ha solo il tampone positivo senza sintomi a chi ha quadri gravi e impegnativi». Lo afferma su Facebook l'infettivologo genovese, Matteo Bassetti.

«Nelle forme asintomatiche - sottolinea Bassetti - non si deve usare alcun farmaco. In quelle lievi, ovvero con febbre inferiore a 38° e senza altri sintomi respiratori, solo antinfiammatori. Solo in quelli con quadro clinico moderato c'è un ruolo per cortisone, ma bisogna aspettare almeno 4-5 giorni dall'inizio dei sintomi. Occorre evitare l'abuso di farmaci - conclude il direttore della clinica di malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova - quando non servono. Si rischia di creare un danno importante e rendere il compito più difficile per chi gestisce poi questi casi in ospedale».

Crisanti: «Anche dopo i vaccini difenderci dal rientro del virus»

«I test molecolari e la capacità di fare test diventeranno sempre più importanti. Noi stiamo facendo tutta questa pubblicità e generando aspettative per raggiungere l'immunità di gregge, ma quando sarà raggiunta e noi ci leveremo le mascherine ed elimineremo tutte le misure di distanziamento sociale avremo l'Rt uguale ad uno». Lo ha detto a Sky TG24 il professor Andrea Crisanti dell'Università di Padova.

Crisanti ha ricordato che «per abbassare l'Rt ed arrivare alla trasmissione vicina allo zero bisogna: mantenere il distanziamenti e le misure di protezione, vaccinare più persone oppure aumentare la capacità di tracciamento attraverso i tamponi che saranno estremamente importanti perché quando avremo raggiunto questo livello non è che tutto il resto del mondo sarà vaccinato. Dovremo difenderci dal rientro del virus e in particolare dal rientro di varianti resistenti al vaccino».

«Inorridisco quando i test rapidi vengono utilizzati nel modo sbagliato perché contribuiscono a diffondere il virus soprattutto nelle comunità. Fra poco - ha anticipato - la nostra università annuncerà che si sono delle varianti totalmente invisibili ai test rapidi e questo pone un problema serissimo di sanità pubblica. Pubblicheremo un lavoro scientifico messo a disposizione di tutti quanti. Inserire i test rapidi nell'indice di positività è uno sbaglio».

Galli: «Via a studio su farmaci disponibili ma burocrazia rallenta»

«Nell'arco di un anno abbiamo imparato a curare molto meglio i pazienti con Covid-19. Purtroppo, dal punto di vista delle possibilità reali di cura, non abbiamo fatto passi da gigante». Lo spiega Massimo Galli, primario infettivologo dell'ospedale Sacco di Milano e docente all'università Statale del capoluogo lombardo, che annuncia uno studio, di cui è principale autore, sponsorizzato dalla Società italiana malattie infettive e tropicali (Simit), mirato proprio a conoscere meglio gli effetti delle terapie note. E' lo studio Ammuravid (Adaptive, multiarm, multistage and multicentre randomized clinical trial with immunotherapy for moderate Covid-19) che però - lamenta Galli - «stiamo facendo fatica ad avviare» per problemi meramente burocratici.

«Lo studio Ammuravid - spiega lo studioso - è autorizzato e finanziato da Aifa. Eppure fatica a partire perché, nonostante le autorizzazioni centrali, abbiamo difficoltà a livello periferico. E' uno studio su farmaci già noti come attivi nei confronti della malattia, come lo steroide, il remdesivir, il baricitinib. Si tratta di una sperimentazione che dovrebbe rispondere ad alcune domande sulla loro efficacia singola o in combinazione, in una determinata fase di malattia».

Ma «per poter fare tutto questo stiamo combattendo da svariati mesi. L'Italia è il Paese delle regole e della rigidità delle stesse. Il problema è nell'avere sempre miriadi di carte 'a posto', alcune delle quali sono davvero ridondanti». Per quanto riguarda il remdesivir, primo farmaco ad essere autorizzato per trattare Covid 19, «si è dimostrato efficace, in parte, nei pazienti in fase avanzata di malattia. L'obiettivo è andare a vedere se in una fase intermedia possa avere una diversa efficacia». Per l'avvio dello studio «dovremmo essere in grado di reclutare a breve. Si tratta di un trial molto vasto. Una volta partiti sarà necessario qualche mese per avere i risultati. Però, intanto, saranno stati curati bene molti pazienti che temo avremo, visto che siamo all'inizio della terza ondata», conclude Galli.

Farmindustria: «Produzione vaccini in Italia? Pronti per inizio 2022»

«Produzione vaccini in Italia? Saremo pronti per l'inizio del prossimo anno. E' probabile che serviranno tanti vaccini anche in futuro, non solo contro il covid. Con il ministro Giorgetti stiamo facendo un grande lavoro per il bene dell'Italia e dell'Europa. Il discorso della produzione dei vaccini con il precedente governo non si è mai affrontato, bene che il tema si affronti ora». Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, è intervenuto ai microfoni della trasmissione «L'Italia s'è desta», su Radio Cusano Campus.

In 150mila pronti a vaccinare: chiuso l'accordo anche con odontoiatri

Anche i 63.600 Odontoiatri italiani saranno coinvolti come vaccinatori contro il Covid. A dare il via libera, il Ministero della Salute, nell'incontro avuto oggi con il Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo) e con il Presidente della Commissione Albo Odontoiatri nazionale, Raffaele Iandolo.

Diventano così oltre 150mila i medici che scendono in campo per dare il loro contributo alla campagna vaccinale: dopo gli accordi con i 40mila specializzandi e con i 60mila medici del territorio (Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta, Specialisti ambulatoriali), sono oggi gli Odontoiatri a dare il loro contributo e sostegno. A loro possono aggiungersi i medici volontari, pensionati e liberi professionisti, che in più di un'occasione hanno dato la disponibilità, in tal senso, alle Regioni.