23 aprile 2024
Aggiornato 09:30
Libia

Napolitano si difende: «Fu il Governo a decidere la missione in Libia del 2011». Salvini: «Va processato»

Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano si difende dalle accuse che lo vogliono come il principale responsabile del pressing su Silvio Berlusconi nel 2011 per l'intervento in Libia

Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano
Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano Foto: ANSA/CLAUDIO PERI ANSA

ROMA - Sull'intervento del 2011 in Libia contro Gheddafi decise il governo allora in carica, guidato da Silvio Berlusconi, nel quadro di una «forte dimensione internazionale» e non certo in un confronto a due tra italiani e francesi. Lo afferma in un'intervista a 'Repubblica', il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, che respinge la visione «ridicolmente distorta» sostenuta da esponenti del centrodestra e del M5S secondo cui sarebbe stato lui a scegliere di appoggiare la missione militare francese, decisa da Nicolas Sarkozy. Nel colloquio con "Repubblica", l'allora Capo dello Stato ricostruisce minuziosamente la vicenda: «Il protagonista dell'intervento in Libia fu fondamentalmente l'Onu. Non ci fu una decisione italiana a se stante. C'era stato dapprima un intervento unilaterale francese con l'appoggio inglese. Non interessa ora indagare sui motivi che spinsero Sarkozy a iniziare in tal modo l'attacco alla Libia di Gheddafi. Quella iniziativa intempestiva e anomala fu superata da altri sviluppi», afferma Napolitano, ovvero le due risoluzioni approvate dall'Onu.

Il ruolo di Napolitano
Il presidente emerito ricorda come «la consultazione informale di emergenza si tenne in coincidenza con la celebrazione al Teatro dell'Opera dei 150 anni dell'Unità d'Italia. A quella consultazione io fui correttamente associato. Il presidente della Repubblica è presidente del Consiglio supremo di Difesa, e in posizione di autorità costituzionale verso le forze armate, aveva titolo per esprimersi su una questione così importante. Ma quella sera la discussione fu aperta dall'allora consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Bruno Archi, che era in contatto diretto con New York mentre veniva varata la seconda risoluzione delle Nazioni Unite che autorizzò e sollecitò un intervento armato ai sensi del capitolo settimo della Carta dell'Onu in considerazione del fatto che i precedenti appelli al governo libico non erano stati raccolti. Dal quadro complessivo rappresentato dal consigliere diplomatico di Palazzo Chigi emergeva l'impossibilità per l'Italia di non fare propria la scelta dell'Onu»

Berlusconi pensò alle dimissioni
Nell'intervista a "Repubblica" Napolitano sottolinea ancora: «Dire che il governo fosse contrario e cedette alle pressioni del Capo dello Stato in asse con Sarkozy, non corrisponde alla realtà». Napolitano riconosce però che «in quella sede informale potemmo tutti renderci conto della riluttanza del Presidente Berlusconi a partecipare all'intervento Onu in Libia. Il Presidente Berlusconi ha di recente ricordato il suo travaglio che quasi lo spingeva a dare le dimissioni in dissenso da una decisione che peraltro spettava al governo, sia pure con il consenso della Presidenza della Repubblica. Che egli abbia evitato quel gesto per non innescare una crisi istituzionale al vertice del nostro paese, fu certamente un atto di responsabilità da riconoscergli ancora oggi. Però, ripeto, non poteva che decidere il governo in armonia con il Parlamento, che approvò con schiacciante maggioranza due risoluzioni gemelle alla Camera e al Senato, con l'adesione anche dell'allora opposizione di centrosinistra. La legittimazione di quella scelta da parte italiana fu dunque massima al livello internazionale e nazionale».

Col senno di poi
Quanto alla valutazione dell'intervento, Napolitano spiega: «Ancora oggi è troppo facile giudicare sommariamente un errore l'intervento Onu in Libia", in primo luogo perchè "quale fosse l'alternativa, nessuno è in grado di indicarlo seriamente». Ciò che di certo fu un errore «grave», per il presidente emerito, fu «non dare, in quanto comunità internazionale, nessun contributo politico, di institution building, ed economico alla conclusione della missione militare. Ci fu quasi un tirarsi fuori, e fu ciò che provocò il caos degli anni successivi».

Il duro commento di Matteo Salvini
Una spiegazione che non convince affatto il leader della Lega Matteo Salvini, uno dei più convinti critici del Presidente emerito. «Napolitano non dovrebbe essere intervistato, pagato e scortato, dovrebbe essere processato» ha commentato su Facebook.