28 marzo 2024
Aggiornato 20:30
Il ritorno della cara vecchia «Democrazia cristiana»?

(Ri)generazione Dc: così il 2016 si chiude con il ritorno della «Balena bianca»

La «Balena bianca» è tornata, anzi in un certo senso non se n’è mai andata. Mai come in questa ultima porzione di 2016 la «generazione Dc» è stata al centro dello scenario politico, non solo con i suoi uomini ma anche con i suoi metodi e le sue liturgie

ROMA - «La Balena bianca non tornerà». Si leggeva questo nei manifesti dell’allora Fronte della Gioventù che festeggiavano con le immagini delle tavole di Corto Maltese l’adieu alla Dc. Eravamo nel 1994, il primo governo della Seconda Repubblica prendeva corpo con l’ingresso dell’outsider Berlusconi accompagnato da postfascisti e leghisti, mentre il corpaccione del partito di Andreotti, Forlani e Cossiga subiva la sua prima e disastrosa diaspora. Ventidue anni dopo? La «Balena bianca» sembra decisamente essere tornata: o meglio, in un certo senso non se n’è mai andata. Certo, non esiste più il partito unico cristiano-democratico, i suoi adepti ingrossano le fila di numerosi soggetti sparsi in tutto l’arco parlamentare e quasi nessuno richiama direttamente quell’esperienza. Ma mai come in questa ultima porzione di 2016 – dalla fine della Prima Repubblica - la «generazione Dc» è stata al centro dello scenario politico, non solo con i suoi uomini ma anche con i suoi metodi e le sue liturgie.

Letta e Renzi, gemelli (diversi)
Democristiani, seppur diversi, sono stati gli ultimi due «giovani» presidenti del Consiglio: Enrico Letta e Matteo Renzi appunto. Letta, se vogliamo, incarna appieno la trasmissione genetica della cultura democristiana. Soprattutto nell’estetica: aplomb, cultura istituzionale, senso della misura. Maturato nella Margherita – la casa dei post-dc di sinistra – ha attraversato tutti gli stadi del perfetto politico da Prima Repubblica: carriera interna ai partiti, poi deputato, sottosegretario, ministro quattro volte, fino ad occupare dopo Mario Monti la poltrona di palazzo Chigi. Scranno occupato per poco perché defenestrato – in una trama degna di House of Cards – dopo il celebre #Enricostaisereno proprio dal fratello coltello «margheritino».

Il gesto democristiano di Renzi
Già, post-democristiano, per età, è stato Matteo Renzi, ultima progenie della stirpe di cui ha rappresentato la mutazione genetica e a cui ha consegnato una delle vittorie politiche e culturali più importanti: la «sottomissione», dopo la scalata, del partito degli ex Pci. Per ottenere questo, però, il Renzi rottamatore ha dovuto marcare prima di tutto una distanza con il suo stesso passato e con gli uomini alla cui storia politicamente è stato legato. Eppure, all’apice della sua spregiudicata scalata, un gesto da «democristiano» Renzi lo ha compiuto: il coniglio dal cilindro per il Quirinale, l’indicazione di Sergio Mattarella, principe della Dc siciliana. E, come da tradizione dc, Mattarella all’occasione si rivelerà, dietro le sembianze e i modi discreti, un «coniglio mannaro» (come veniva definito Forlani).

Mattarella? Nuovo «coniglio mannaro»
Proprio il capo dello Stato infatti, fino a qualche settimana fa niente di più che un garante istituzionale, in questo ultimo mese è stato il regista assoluto della scena politica. Certo il protagonismo di Sergio Mattarella non ha nulla a che vedere nei modi e nei toni con quello machiavellico dell’ex comunista Giorgio Napolitano. Ma proprio qui – dopo la parentesi del renzismo - sta il ritorno dell’uguale. A partire da un certo linguaggio che è tornato ad occupare prepotentemente le pagine dei giornali nei giorni precedenti l’incarico a Paolo Gentiloni: consultazioni, governo tecnico-politico, governo della non-sfiducia e così via. Tutto si innesta nella più scolastica prassi democristiana: far stemperare i bollori, alimentare i tempi lunghi, dissimulare di aver compreso le istanze di cambiamento della piazza risolvendo tutto ciò nel rimescolare due-tre pedine dello stesso scacchiere.

Proporzionalisti d’assalto…
Sotto la regia di Mattarella si sta muovendo il neopremier Paolo Gentiloni, che se non parte democristiano (da giovane agit-prop della sinistra ambientalista) di certo arriva «margheritino», espressione com’è di quei «Rutelli boys» post-dc che rappresentano d’altro canto i riservisti preferiti da Matteo Renzi quando è necessario salvare il salvabile, come è già successo a Roma con l’indicazione di Roberto Giachetti. Dopo aver stoppato ogni ipotesi di voto immediato (eventualità che ha definito addirittura «inconcepibile») Mattarella non ha sostenuto alcuna «rivoluzione» nell’impianto dell’esecutivo – ossia i verdiniani rimangono nelle terze linee – e ha apprezzato (ricambiato) la disponibilità di Berlusconi a sostenere, seppur dall’opposizione, il progetto di una nuova legge elettorale e non solo. Questo clima, insomma, alimenta le speranze trasversali (da parte cioè di Forza Italia, di spezzoni importanti del Pd e della galassia centrista) di un ritorno al proporzionale con larghe intese scontate che garantirebbe la chiusura del cerchio di una restaurazione della Prima Repubblica così «veloce» da far impallidire chi credeva che i democristiani fossero niente di più che dei reperti archeologici.