28 marzo 2024
Aggiornato 11:00
Lotta al terrorismo

Iraq, Libia: l’Italia è in guerra?

Secondo gli Stati Uniti un maggiore impegno dell’Italia in Libia sarebbe benvenuto. Mentre i jihadisti starebbero avanzando, il ministro italiano della Difesa Pinotti dichiara che «l’intervento italiano in Libia non è imminente».

Secondo gli Stati Uniti un maggiore impegno dell’Italia in Libia sarebbe benvenuto. Mentre i jihadisti starebbero avanzando, il ministro italiano della Difesa Pinotti dichiara che «l’intervento italiano in Libia non è imminente».

Allo stesso tempo l'Italia sta valutando l'invio di militari in difesa della diga di Mosul in Iraq, dove il contingente italiano potrebbe essere allargato ancora di più con le missioni di "personal recovery", ovvero sia di recupero di personale ferito o isolato anche in ambienti ostili. In altre parole si tratterebbe di missioni di guerra.

Si sa, parlare di guerra in Italia è praticamente tabù, ma viste le pressioni degli alleati, il possibile invio di militari italiani a difendere la diga di Mosul, punto strategico e particolarmente pericoloso, sembra che sia cominciato il conto alla rovescia di un nuovo intervento. Obama vorrà pure un intervento in Libia, ma l'Italia che farà? Sbagliando si impara e forse il caso della Libia sarebbe una buona occasione per l'Italia di non imbarcarsi in nuove guerre e lasciarle ai suoi alleati.

Ebbene, qual è l'impegno dell'Italia in Libia e in Iraq al giorno d'oggi? L'Italia è in guerra? Sputnik Italia ha raggiunto per una riflessione in merito Pietro Batacchi, direttore di RID (Rivista Italiana Difesa).

— L'Italia sarebbe intenzionata a mandare i suoi militari In Iraq a difesa della diga di Mosul. I militari italiani in Iraq addestrano già le forze curdo-irachene. Qual è l'importanza dell'impegno militare italiano in Iraq?

— Bisogna precisare che ancora presso la diga di Mosul non sono stati dispiegati i militari italiani. È ancora una decisione che il governo deve prendere. Attualmente l'Italia ha un impegno in Iraq che si basa su due piani. Da una parte c'è l'addestramento delle forze irachene con la missione data dall'esercito a Erbil, abbiamo un contingente soprattutto a Baghdad di carabinieri per addestrare la polizia irachena e un nucleo di forze speciali per addestrare le unità del Counter Terrorism Service iracheno. In secondo piano abbiamo la missione dell'aeronautica in Kuwait, dove sono dispiegati 2 UAV PREDATOR, un aerorifornitore KC-767A e 4 cacciabombardieri TORNADO IDS impiegati esclusivamente per compiti di ricognizione e sorveglianza. Gli aerei italiani non compiono missioni di combattimento. Questo oggi è il quadro dell'impegno italiano in Iraq.

Come è noto, è stato annunciato un incremento dell'impegno per il momento nella stessa Erbil, dove verranno inviati 130 nuovi soldati per lo svolgimento delle missioni cosiddette «personal recovery», cioè di recupero di personale isolato o ferito. Su Mosul si deve decidere e devono essere chiarificati i dettagli.

— La diga in questione è un punto strategico per il Daesh e molto pericoloso in generale. Sarebbe una missione molto delicata quindi?

— La missione della difesa di un obiettivo ad alta valenza strategica come quella di Mosul è una missione che sarebbe chiaramente rischiosa e comporterebbe un corpo ben equipaggiato e armato. Quando il governo deciderà, credo che lo Stato Maggiore italiano configuri la missione nel modo più adeguato per rispondere alla minaccia che in quel contesto è molto elevata.

— Spostiamoci su un altro fronte. Gli Stati Uniti spingono l'Italia verso un intervento in Libia. Il ministro della Difesa Pinotti ha dichiarato che non «si tratta di un intervento imminente». Ad ogni modo, se l'Italia scendesse sul campo, non rischierebbe di provocare attentati terroristici sul suo territorio da parte del Daesh?

— L'Italia ha sempre svolto un ruolo di primo piano da un punto di vista diplomatico, favorendo e incoraggiando la formazione di un governo di unità nazionale in Libia, che è la precondizione minima per qualsiasi discorso di futuri interventi. Se non c'è un quadro politico più chiaro in Libia, credo difficilmente si possa parlare di intervento militare efficace. Lunedì credo verrà ripresentata la nuova lista di ministri al parlamento di Tobruk e vedremo che cosa succederà. Prima di parlare di intervento, bisogna andarci cauti.

Anche se si formerà un governo, bisognerà vedere di che tipo. Se un intervento davvero ci sarà, dovranno chiedercelo i libici e saranno gli stessi libici che dovranno dire a una coalizione, presumibilmente a guida italiana, di cosa hanno bisogno. Il grosso delle operazioni sul terreno contro l'ISIS, lo farebbero gli stessi libici. Senza un quadro politico più chiaro, un intervento potrebbe essere controproducente.

— Forse il caso della Libia è proprio un'occasione per l'Italia di dire «no» agli alleati e optare in tutti i modi per una soluzione politica? In altre parole, l'Italia non potrebbe lasciare la guerra agli altri ed evitare missioni militari inconcludenti?

— Esattamente. Proprio per evitare gli errori commessi nel passato, a cominciare dallo sciagurato intervento del 2011. Io immagino che in questi mesi l'Italia abbia lavorato per scongiurare qualunque tipo o forma di intervento unilaterale da parte di chicchessia. L'Italia ha lavorato molto sul piano diplomatico e politico, da un lato incoraggiando la formazione di un governo nazionale, dall'altro lavorando con l'intelligence sul terreno per creare una cornice di consenso sufficiente perché questo governo possa insediarsi.

— I ministri e lo stesso Renzi evitano sempre di usare la parola «guerra», l'impegno dell'Italia però c'è in Iraq e probabilmente ci sarà in Libia, sono gli alleati a sottolinearlo.

— L'Italia è un Paese particolare, non è una novità per un qualunque governo italiano quella di non utilizzare la parola «guerra» oppure di minimizzarla o mascherarla sotto la forma di qualcos'altro. Questo fenomeno, infatti, c'è sempre stato anche in passato con altri governi e altre classi politiche. La storia e la cultura del nostro Paese ne parlano chiaro. L'Italia è così e non c'è niente da fare. Abbiamo un vincolo costituzionale, l'articolo 11 della Costituzione. L'argomento «guerra» in Italia è tabù.

— Secondo lei invece l'Italia è in guerra o non lo è?

— In questo momento non lo è, semplicemente per il fatto che in Iraq i nostri militari e i nostri aerei non svolgono operazioni di guerra fino ad oggi. Dire che oggi l'Italia sia in guerra mi sembra una forzatura. L'Italia è stata in guerra in Afghanistan negli anni scorsi, quando i nostri soldati in determinati contesti partecipavano in missioni di combattimento. Ad oggi non è così, chiaramente se la missione di rafforzamento del contingente ad Erbil e l'estensione della missione «personal recovery» dovessero effettivamente concretizzarsi, quest'ultima sarebbe una missione di guerra, perché presuppone il recupero di personale ferito o isolato anche in ambienti ostili.

Fino ad oggi però l'Italia non partecipa ad operazioni di guerra, partecipa ad una coalizione che combatte l'ISIS con un ruolo di «supporto».