Renzi: «L'ISIS si vince con la cultura»
Per il Presidente del Consiglio è il fanatismo che ha colpito Beirut, Baghdad, l'Egitto, ma anche Ankara e Parigi. «Perché tutti gli attentati sicuramente hanno avuto collegamenti con centrali del terrore sparsi in ogni luogo, ma sono stati compiuti da cittadini cresciuti nelle nostre periferie ed educati nelle nostre scuole».
ROMA - La società del Mediterraneo è oggi insidiata da «attacchi destabilizzanti e minacce distruttive» e scongiurare nuove stragi rappresenta la sfida più grande per la politica internazionale: una sfida che non prevede alternative «ad una grande alleanza tra popoli, estrazioni culturali e fedi religiose». In un momento in cui il Mediterraneo è diventato l'epicentro del disordine mondiale, insomma, «l'assoluta priorità» restano la sconfitta di Daesh (Isis) e dell'estremismo più violento «anche ricorrendo all'opzione militare», l'avvio di una transizione politica in Siria e la nascita di un governo di unità nazionale in Libia. Di certo, però, è necessario andare oltre il caos attuale e porre le basi per una nuova agenda, per «un nuovo ordine in cui non ci sia posto per il terrorismo», costruito attraverso la diplomazia, il partenariato, la governance e il co-sviluppo. Di tutto questo si è discusso oggi a Roma nella prima delle tre giornate del Dialogo mediterraneo, forum a cui partecipano 34 Paesi, 33 capi di Stato, ministri e vertici di organizzazioni internazionali, oltre a 400 leader dell'economia, della cultura e della politica. «Un dialogo che spesso è mancato» e «che deve tradursi in obiettivi e impegni che non restino sulla carta come spesso è accaduto in passato», ha ammonito il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo discorso introduttivo.
Se dunque le «esigenze più pressanti» sono oggi quelle di offrire «sicurezza» e «sconfiggere il Daesh (Isis, ndr) anche ricorrendo all'opzione militare», occorre però «andare oltre la crisi attuale e riflettere su come riedificare a medio termine un ordine regionale nel Mediterraneo», ha sottolineato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Per far questo, secondo il presidente del Consiglio Matteo Renzi, «è fondamentale rafforzare la cooperazione con i Paesi chiave: nell'area del Libano, nella leadership straordinaria del re di Giordania», perché «gli interventi militari, necessari, non sono risolutivi se non sono inseriti in una strategia di lungo percorso».
E se «l'Italia è in prima linea nel contrasto al terrore», secondo Renzi, non servono «reazioni emotive e istintive»: bisogna piuttosto «lavorare ad una soluzione con respiro strategico e non last minute», facendo affidamento sulla forza dirompente della «cultura». «La cultura non è l'unica arma ma è dialogo, confronto. E' il sistema immunitario delle nostre società contro la deriva del fanatismo». Un fanatismo subdolo, che si alimenta, si nasconde e serpeggia non soltanto a decine di migliaia di chilometri da noi. E' il fanatismo che ha colpito Beirut, Baghdad, l'Egitto, ma anche Ankara e Parigi. «Perché tutti gli attentati sicuramente hanno avuto collegamenti con centrali del terrore sparsi in ogni luogo, ma sono stati compiuti da cittadini cresciuti nelle nostre periferie ed educati nelle nostre scuole».
In passato, «per un certo tempo», questo fanatismo e questa minaccia sono stati «sottovalutati», ha ammesso il ministro della Difesa Roberta Pinotti. Ma adesso da parte di tutta la Comunità internazionale c'è «la convinzione profonda del rischio che un terrorismo di questo tipo possa essere per tutte le nostre civiltà e per tutti i nostri paesi». I terroristi stanno minacciando «il mondo intero», «non risparmiano nessuno, non rispettano alcun confine né morale né geografico»: quella contro l'Isis «è una guerra all'interno dell'Islam, e noi combattiamo i fuorilegge dell'Islam», ha concordato il re di Giordania Abdallah II. «Questa è una guerra che dobbiamo combattere e vincere. Come? Come una comunità globale unita», riportando al centro di tutto il grande «pluralismo» del Mediterraneo, la sua lunga storia di convivenza di «varie culture e religioni».
Perché tutti quelli che operano nel mondo usando violenza hanno come scopo «far tacere la tolleranza e la cooperazione», creando dissidi, calpestando diritti. E qui, la stilettata di Abdallah va dritto al cuore di Israele: «fino a quando i palestinesi non avranno diritti, milioni di persone nel mondo continueranno a essere scettiche sulla realtà della giustizia mondiale. La propaganda terroristica prospera su questo conflitto e noi tutti ne paghiamo lo scotto». Anche di questo si parlerà domani, nella seconda giornata dei lavori di Roma. Alla Conferenza ci saranno i capi negoziatori palestinesi ed israeliani, Saeb Erekat e Silvan Shalom. Poi, nel pomeriggio toccherà al ministro degli Esteri di Mosca, Sergey Lavrov, il cui Paese - la Russia - è considerato indispensabile insieme all'Iran per la sconfitta del Daesh, la stabilizzazione della Siria e la costruzione di un nuovo ordine regionale. Una discussione sulla crisi libica anticiperà, infine, la chiusura del Forum nella giornata di sabato e l'apertura della grande conferenza internazionale sulla Libia, domenica, sempre a Roma.
(con fonte Askanews)
- 27/10/2019 La fine di al-Baghdadi, Donald Trump: «E' morto da codardo»
- 03/04/2019 Isis sconfitto o «disperso»? Il rischio del «mito» del Califfato
- 09/01/2019 Terrorismo e immigrazione clandestina, tunisino pentito: in Italia rischio di un esercito di kamikaze
- 21/12/2018 Il «pacifico» Marocco torna ad essere patria di jihadisti?