19 agosto 2025
Aggiornato 01:00
Governo appeso a un filo

Renzi alle grandi manovre per salvare la poltrona

Il premier ha scatenato l'amico Denis Verdini per reclutare nuovi senatori che puntellino la sua traballante maggioranza. Ma contro le barricate della minoranza Pd e di Ncd potrebbe non bastare

ROMA – Un tempo, quando a farlo era Berlusconi, il Partito democratico parlava di compravendita dei senatori, quando era gentile, oppure direttamente di mercato delle vacche. Oggi che il protagonista è il suo segretario Renzi parla invece di «scouting». Ma pur essendosi ingentilito il vocabolario, lo spettacolo resta altrettanto squallido: un'asta al miglior offerente in cui si reclutano nuovi parlamentari, per puntellare la traballante maggioranza al Senato. Ad organizzarla è sempre lui, lo specialista Denis Verdini, il primo ad aver abbandonato Forza Italia per offrire i propri servigi al premier. E le solite sono pure le armi che utilizza: la garanzia di poltrone e poltroncine di sottogoverno, quando non addirittura la semplice prosecuzione della legislatura, principale obiettivo di chi sa di non poter essere rieletto.

I conti non tornano
E qualche proselito, il vecchio Denis insieme a Luca Lotti (braccio destro di Renzi addetto a sporcarsi le mani), lo ha effettivamente convinto. Come gli ex M5s Maurizio Romani e Alessandra Bencini (due toscani, guarda la combinazione), che hanno trovato rifugio nella resuscitata Italia dei valori. A loro presto si potrebbero unire altri peones come Nello Formisano, Bartolomeo Pepe e Paola De Pin. Ma il mercato rischia di chiudere i battenti anzitempo, perché i tentativi di strappare qualche uomo a Forza Italia sembrano invece caduti nel vuoto, almeno per ora. Non basta, per blindare i numeri in vista del delicato passaggio della riforma del Senato. Tanto che la calendarizzazione del voto in aula continua a slittare in avanti di settimana in settimana, segno che la maggioranza ha ancora bisogno di prendere tempo.

Lo sgambetto
Già, perché la minoranza del Pd, nonostante i sovrumani tentativi di mediazione di Renzi (sovrumani almeno per un bulletto come lui) nei giorni scorsi, resta sulle barricate. Ufficialmente perché non è disposta a cedere sull'irrinunciabile presidio democratico rappresentato dall'elezione diretta dei senatori. Concretamente perché, come direbbe Bersani, vuole riprendersi la ditta, ovvero l'elettorato storico del partito. E sa bene che, più il premier è costretto a inciuciare con Verdini e con la destra, più spinge verso di loro proprio quella fetta di elettorato. Il grande sgambetto lo stanno preparando per il 2017, quando si rivoterà per eleggere il segretario: e contro Renzi sono pronti a scendere in campo big come Enrico Rossi (bersanian-dalemiano), Nicola Zingaretti (gradito ai vendolian-civatiani) e Michele Emiliano (che sfonda verso i grillini). Ma vuoi mettere la soddisfazione di far cadere anticipatamente anche il suo governo?

Pistola scarica
Pronti a votare contro la riforma del Senato, dunque, ci sarebbero una trentina scarsa di piddini dissidenti e anche una quindicina di alfaniani. Tutti loro non credono alla minaccia renziana di elezioni anticipate in caso di bocciatura. Primo, perché semmai rischia di accadere il contrario: incassate le riforme a sua immagine e somiglianza e l'approvazione del referendum, a quel punto Renzi potrebbe staccare la spina e tornare al voto, per far eleggere un parlamento fatto tutto di suoi fedelissimi. Secondo, perché se il governo cadesse non si andrebbe automaticamente alle urne: la decisione finale spetta pur sempre a Sergio Mattarella. Che non vedrebbe poi così male l'idea di un presidente del Consiglio alternativo e istituzionale, tipo Pietro Grasso. E il bulletto trema...