17 aprile 2025
Aggiornato 20:01
Vertice a Palazzo Chigi: Renzi sceglie la cautela e l'ONU

Libia: il gasdotto per l'Italia in territorio controllato dalla «Fratellanza musulmana»

Il presidente del Consiglio si è riunito questa mattina con i ministri degli Esteri Paolo Gentiloni, degli Interni Angelino Alfano e della difesa Roberta Pinotti assieme al sottosegretario Marco Minniti. Al centro della riunione la situazione libica. E' stato ribadito l'impegno italiano per una forte azione diplomatica in ambito ONU

ROMA - Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è riunito questa mattina a Palazzo Chigi con i ministri degli Esteri Paolo Gentiloni, dell'Interno Angelino Alfano e della difesa Roberta Pinotti assieme al sottosegretario Marco Minniti. Al centro della riunione la situazione libica. Dopo l'incontro è stato ribadito l'impegno italiano per una forte azione diplomatica in ambito Onu e il sostegno per una iniziativa urgente al Consiglio di Sicurezza che promuova stabilità e pace in Libia. Il problema è che non è chiaro come le Nazioni unite possano portare pace e stabilità nel Paese. Lo Stato nord-africano infatti è sconvolto da una guerra civile, dove si contrappongono diverse fazioni e che vede 1 milione di persone, sui 6 di abitanti totali, imbracciare le armi.

SULL'ISIS TANTA PROPAGANDA - Quanto alla minaccia dell'Isis all'Italia, ventilata sia dal ministro dell'Interno Alfano, che da quello degli Esteri Gentiloni, come dalla fazione libica «filo-egiziana» del parlamento di Tobruk (che ha conosciuto diverse sconfitte sul campo nelle ultime settimane), si tratta di propaganda pura e semplice. Come ha spiegato Mattia Toaldo, esperto di Libia e ricercatore dello European Council on Foreign Relations di Londra, il Califfato in Libia è composto da poche centinaia di uomini. Il fantomatico Stato islamico è nato tra la Siria e l'Iraq, dove nemmeno lì ha il controllo effettivo di vaste porzioni di territorio, mentre i suoi rappresentanti «alle porte dell'Italia» sono composti da quei libici che hanno risposto al richiamo della jihad in Medioriente e hanno deciso di tornare in patria per combattere un nuova guerra, non disponendo nemmeno dell'arsenale statunitense (soprattutto carri e mezzi blindati) a cui hanno potuto attingere attaccando le caserme irachene. L'Isis quindi nonostante le sue ottime capacità comunicative, i cui effetti sono amplificati da quegli attori che hanno interessi per farlo, non è in grado da solo di contare alcunché nel panorama libico.

CON CHI SCHIERARSI? - Fatta questa premessa è necessaria farne un'altra: le Nazioni unite dovrebbero portare avanti un'azione di peace enforcing, di guerra per chi non ama gli anglicismi, non essendoci un accordo di pace fra le parti da far rispettare con un'operazione di peace keeping dei caschi blu. A quel punto l'Onu dovrebbe scegliere con quale delle tante fazioni schierarsi e per l'Italia tale scelta potrebbe essere gravida di conseguenze. La nostra ambasciata chiusa temporaneamente venerdì scorso, ma soprattutto l'impianto Eni di Mellitah da dove parte il gasdotto «greenstream» che porta il gas libico e tunisino dalle coste africane a quelle siciliane si trovano nella regione della Tripolitania. Questa zona è controllata dal nuovo General National Congress, dominato dalla Fratellanza musulmana, che si oppone con forza al parlamento di Tobruk, quello riconosciuto dall'Occidente e sostenuto da Francia, Egitto, Arabia saudita e indirettamente dagli Usa tramite il generale Khalifa Haftar. Entrambe le parti citate poi hanno fatto sapere che non gradirebbero un intervento di terra da parte di truppe straniere, che sarebbe visto come un ritorno ai tempi del colonialismo o a quelli delle crociate.

SERVIREBBERO DECINE DI MIGLIAIA DI SOLDATI - Una missione in Libia poi, dovrebbe coinvolgere decine di migliaia di soldati che sarebbero impegnati in azioni di combattimento. Secondo il generale Carlo Jean, intervistato da formiche.net, «neanche se inviassimo diecimila o centomila uomini la situazione si tranquillizzerebbe, dal momento che sul territorio ci sono un milione di armati divisi in 1500 gruppi che tentano di ottenere profitti per prendere il potere politico». Quanto all'ex capo di Stato maggiore della Difesa e attualmente vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali, generale Vincenzo Camporini, anche lui interpellato dalla testata citata poc'anzi, per ristabilire una situazione di non conflittualità in Libia sarebbe necessario «un intervento militare ad alta intensità. Azione desiderabile ma non realizzabile, visto che le forze armate europee sono assai limitate. Soprattutto per la disponibilità di mezzi pesanti ridotta al lumicino». Per il caporedattore del Corriere, Paolo Rastelli, invece sarebbe necessario schierare «almeno 60 mila uomini con equipaggiamento pesante: carri armati, elicotteri di attacco, mezzi trasporto truppe, genio». Numeri importanti quindi, se pensiamo che le forze armate italiane sono composte da 174mila effettivi, che diventano 278mila con l'aggiunta dei carabinieri.