Senato e legge elettorale, non è questo il fumo dell'arrosto che sfama l'Italia
Non molto tempo fa ebbi una conversazione a quattr’occhi, con un politico italiano di lungo corso. Gli chiesi, tra l’altro, se, per fare politica, fosse assolutamente necessario mentire al popolo anche su cose importanti. Il mio interlocutore cambiò discorso e non mi dette risposta. Lascio ciascun lettore libero di immaginare cosa nascondesse quel silenzio.
Non molto tempo fa ebbi una conversazione a quattr’occhi, con un politico italiano di lungo corso. Gli chiesi, tra l’altro, se, per fare politica, fosse assolutamente necessario mentire al popolo anche su cose importanti. Il mio interlocutore cambiò discorso e non mi dette risposta. Lascio ciascun lettore libero di immaginare cosa nascondesse quel silenzio.
Ci piaccia o no, purtroppo, tutta l’attività politica è piena di menzogne e quasi sempre la tattica prevale sulla strategia e su quelli che, almeno teoricamente, dovrebbero essere gli obiettivi finali dell’azione politica stessa. L’esempio evidente si riscontra nella politica italiana di questi mesi.
Tutti sanno che il nostro Paese è sull’orlo del baratro economico e che, di là da sterili dibattiti sull’«elasticità» dei parametri di Maastricht, sarebbero necessarie profonde riforme strutturali per invertire una tendenza che ci vede incamminati verso il possibile fallimento o, comunque, il progressivo impoverimento. Ciò nonostante, invece di occuparsi degli interventi più urgenti, il Governo e il Parlamento sembrano impegnati in altre riforme, anch’esse strutturali, ma non così urgenti: la riforma del Senato e quella elettorale.
La circostanza è aggravata dal fatto che il Parlamento che dovrebbe modificare la Costituzione è stato già giudicato illegittimo dalla Corte Costituzionale. Che senso ha che siano proprio parlamentari eletti contro la legge fondamentale gli stessi che vogliono modificare la Costituzione?
Sembrerebbe diverso il caso della legge elettorale. In questo caso per modificarla basterebbe una legge ordinaria con una maggioranza relativa di deputati e senatori. Perché dunque non limitarsi a essa?
La vera risposta, di là da tutte le argomentazioni apparentemente razionali che legano l’una all’altra, sta nel fatto che una nuova legge elettorale implicherebbe un’ulteriore, e definitiva, delegittimazione degli attuali eletti e quindi porterebbe a immediate elezioni. La riforma del Senato, invece, essendo modifica costituzionale richiede una doppia lettura da parte sia della Camera sia del Senato e almeno tre mesi tra l’una e l’altra. Ciò significa che, realisticamente, il tempo necessario per una nuova legge è di almeno un anno. Sempre che non ci siano emendamenti di alcun genere tra una lettura e l’altra perché altrimenti il processo dovrebbe ricominciare daccapo.
Chi non vuole dunque, qualunque ne sia il motivo, andare al voto in tempi brevi spinge sulla necessità di tenere legate le due leggi e si augura che, nel frattempo, qualcosa cambi a suo favore. Chi invece, come l’attuale presidente del consiglio Renzi, vorrebbe attraverso una possibile consultazione popolare far fruttare l’ondata di consenso, ora favorevole, spera che una qualunque delle due leggi in discussione sia battuta da un voto contrario per poter così giocare il ruolo della vittima, additare i responsabili di questa non-volontà riformatrice e chiedere agli elettori un consenso ancora più grande per fare, direbbe, le sospirate riforme.
In realtà, demagogia a parte, della riforma del Senato all’economa in crisi non interessa nulla. Ciò che veramente sarebbe urgente e necessario sono la riforma fiscale, della giustizia civile, del mercato del lavoro e della burocrazia pubblica. A parole si dice di voler affrontare anche questi temi ma, nella pratica, non se ne sta facendo nulla o s’impostano modifiche superficiali e ininfluenti.
In tutta questa partita e con la complicità di molti organi di stampa si mente spudoratamente al Paese, raccontando fandonie e additando falsi obiettivi, mentre le fabbriche chiudono, il potere d’acquisto diminuisce, si aumentano le tasse e, contemporaneamente, il debito pubblico, anziché diminuire, cresce.
E’ inutile nasconderci accusando la Germania per la nostra stasi. I tedeschi hanno gravi responsabilità, come quella di aver aggravato la crisi avendo impedito un immediato intervento di sostegno alla Grecia quando cominciò rendersi evidente il disastro di quell’economia. Tuttavia, oggi, anche un’autorizzazione ad aumentare il nostro deficit senza aver fatto gli interventi strutturali di cui sopra significherebbe soltanto prolungare di qualche mese un’agonia annunciata.
Purtroppo, il teatrino della politica, quello vero e non quello utilitaristicamente additato da Berlusconi, vuole che l’attenzione di tutti si concentri su una presunta modifica costituzionale (tra l’altro molto discutibile nei suoi contenuti) e si rimandi a tempi indefiniti (tra un anno?, due ?, tre?) gli interventi che veramente servirebbero a consentire il risanamento dell’economia.
Agli occhi della maggior parte degli italiani Renzi sembra l’ultima spiaggia e, oggettivamente, non si riesce a intravvedere chi altri o quale forza politica abbia veramente il coraggio di affrontare i problemi reali con la possibilità di risolverli. Ma anche Renzi con le sue altisonanti promesse e le sue bugie sembra solamente, con nostro grande dispiacere, una giovane riedizione del vecchio Berlusconi: tanto fumo, magari profumato, ma nessun arrosto in pentola.
Chi avrà il coraggio di dirci la verità?
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