Marò: resta Sua Act senza pena morte
Il ministero dell'Interno indiano avrebbe dunque deciso di rinunciare definitivamente alla condanna alla pena di morte per i due marò italiani. Ma secondo fonti di stampa locale, Latorre e Girone saranno comunque processati in base al Sua Act, la legge antiterrorismo e antipirateria. Ma per Roma è inaccettabile
ROMA - Il rapporto della polizia investigativa indiana Nia con i capi d'accusa a carico di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non conterrà più l'imputazione di «omicidio» di due pescatori del Kerala, ma quella di «violenza» ai danni delle due vittime. Il ministero dell'Interno indiano avrebbe dunque deciso di rinunciare definitivamente alla condanna alla pena di morte per i due marò italiani. Ma secondo fonti di stampa locale, Latorre e Girone saranno comunque processati in base al Sua Act, la legge antiterrorismo e antipirateria. Una soluzione di compromesso che non soddisfa la Federazione dei pescatori indiani e che la stessa Italia rifiuta da tempo: l'applicazione del Sua Act è inaccettabile, fanno sapere fonti del governo italiano.
Secondo la stampa indiana, dunque, il ministero dell'Interno avrebbe confermato l'applicazione al caso dei due marò italiani della legge antiterrorismo e antipirateria (Sua Act) dicendosi però favorevole solo al ricorso all'articolo 3 comma 'a-1'. Quest'ultimo, al quale ora dovrebbe attenersi la Nia, riferisce che chiunque «compia un atto di violenza contro una persona a bordo di una piattaforma fissa o di una nave (...) mettendo in pericolo la navigazione sicura di essa, sarà punito con la prigione per un periodo che può estendersi fino a dieci anni e può essere sottoposto a multa». Si tratta di un comma più 'morbido' rispetto a quello evocato e invocato fino ad oggi, il comma 'g-1', che prevede la «pena capitale» per chiunque «provochi la morte di una persona qualsiasi» commettendo un atto di violenza contro una nave indiana.
PER L'ITALIA NON BASTA - Una soluzione, quella che sarà annunciata lunedì davanti alla Corte Suprema, che è però ritenuta irricevibile dall'Italia. Insomma, sapere che Latorre e Girone non rischiano la pena di morte non è sufficiente. Accettare un processo con un'accusa - seppure di «violenza» e non di «omicidio» - formulata in base al Sua Act significa infatti approvare la tesi secondo cui Latorre e Girone sarebbero essi stessi terroristi o pirati. «E' un'accusa che ci fa molto male non solo come militari ma anche come genitori e uomini», hanno spiegato nei giorni scorsi i due militari. Latorre e Girone «non sono né terroristi né pirati», ha precisato non più tardi di due giorni fa il ministro degli Esteri Emma Bonino.
D'altra parte, si tratta di una tesi più volte definita inammissibile anche da Palazzo Chigi. Da Nuova Delhi ci si attende piuttosto che si tenga fede alle assicurazioni fornite riguardo al fatto che il caso in questione non rientra tra quelli oggetto della normativa antipirateria. Il rischio concreto è inoltre quello che si possa costituire un pericoloso precedente di incertezza giuridica, capace di minare alle fondamenta le operazioni di contrasto alla pirateria e, più in generale, l'attività della comunità internazionale a sostegno della pace e della sicurezza.
TAJANI: PROCESSO INGIUSTO - «Combattere la pirateria non può essere uguale a compiere atti di pirateria. Applicare la legge antipirateria ai marò significa dare più forza ai pirati e meno a chi difende la libertà in mare», ha commentato da parte sua il vice presidente della Commissione europea, Antonio Tajani. «I marò non sono terroristi, non sono pirati. Il Sua Act è inapplicabile, anche senza l'ipotesi della pena di morte», ha spiegato su Twitter. Per il commissario europeo con delega all'Industria, insomma, in questo caso si avrebbe un «processo ingiusto», invece di «un processo imparziale, nel rispetto delle leggi internazionali».
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