25 aprile 2024
Aggiornato 05:00
La riforma della legge elettorale

Sulla legge elettorale è di nuovo allarme nel PD

E oggi il Segretario Democratico Bersani ha voluto dirlo pubblicamente. Del resto, già in mattinata l'Unità aveva fatto capire quanto nel partito si tema l'effetto congiunto delle pressioni di Giorgio Napolitano e della tentazione di fare un «blitz» da parte di Pdl, Lega e Udc

ROMA - Sulla legge elettorale è di nuovo allarme nel Pd e oggi il segretario democratico ha voluto dirlo pubblicamente. Del resto, già in mattinata l'Unità aveva fatto capire quanto nel partito si tema l'effetto congiunto delle pressioni di Giorgio Napolitano e della tentazione di fare un 'blitz' da parte di Pdl, Lega e Udc: nel quotidiano fondato da Antonio Gramsci c'erano ben due pezzi sull'argomento, un retroscena intitolato «Il centrodestra vuole la legge trappola», e un editoriale del direttore contro la «Logica dello sfascio». Quindi, è stato Bersani stesso a lanciare l'allarme: molti che parlano di 'Monti-bis' pensano ad una legge elettorale che non faccia vincere nessuno, «così la politica non dà risposte e viene fuori il Monti-bis. Chi pensa questo è fuori come un balcone: dalla palude non viene fuori Monti, viene fuori un rischio mortale per il paese».

Il problema è che da giorni Napolitano ha recapitato un messaggio chiaro a tutti e tre i partiti di maggioranza: non crediate che mi rassegnerei a tenere il 'Porcellum' così com'è, sono pronto a fare tutto ciò che è in mio potere per ottenere almeno la correzione che ha chiesto, da anni, la Corte costituzionale, ovvero una soglia minima per accedere al premio di maggioranza. Un ragionamento che Udc e Pdl sembrano pronti a fare proprio, piazzando una soglia almeno del 40% per ottenere il premio di coalizione. Sondaggi alla mano, l'alleanza Pd-Sel-Psi è almeno 5 punti sotto quella cifra, ecco perché Bersani attacca chi vuole fare una legge che renda «tutti nanetti».

Per questo motivo il leader Pd ha convocato per domattina un 'gabinetto di crisi' composto dai capigruppo e dagli 'esperti' del partito in materia elettorale: al momento l'emendamento D'Alia che al Senato proponeva l'introduzione della soglia è bloccato, perché nel Pdl non si trova l'intesa sulle preferenze. Ma il rischio di 'isolamento' è ben chiaro ai democratici e domani si valuteranno le contromosse.

I democratici, come spiega Luciano Violante da giorni, ritengono che la soglia debba essere «coerente con gli equilibri attuali» e cioé «tra il 30% e il 35%». Ma in alternativa, già nei giorni scorsi, dopo il nuovo ultimatum di Napolitano e il no di Berlusconi alle preferenze, il Pd aveva mandato segnali al Pdl. In particolare, Maurizio Migliavacca, viene riferito, aveva fatto capire che se il centrodestra fosse disponibile davvero ad accettare i collegi, si potrebbe anche ragionare su un compromesso: possiamo anche fare un altro discorso, una soglia anche del 40%, ma niente preferenze e premio del 10% al primo partito.

Un 'piano B' che permetterebbe al Pd di essere comunque il perno del prossimo governo. Sondaggi alla mano, infatti, Pd-Sel-Psi sono intorno al 35%, con un premio del 12,5% come chiesto da Bersani si arriverebbe intorno al 47,5%; ma se il premio scatta solo raggiungendo il 40% come coalizione, i tre partiti potrebbero dare vita ad un 'listone' unico, che premiato con il 10% si piazzerebbe comunque intorno al 45% dei seggi. Non a caso, questo meccanismo era richiamato proprio da Sardo nell'editoriale dell'Unità di oggi, sottolineando che ieri lo aveva proposto Roberto D'Alimonte sul Sole 24 Ore: «Non basterà a quel partito (cioé alla lista arrivata prima, ndr) per costruire una maggioranza autosufficiente, ma si aiuterà almeno quel partito e il suo leader a comporre una coalizione coerente in Parlamento». Lo schema del vertice Pd è semplice: serve un premio che garantisca l'individuazione chiara di un vincitore, poi se non avrà la maggioranza si fa come nel resto d'Europa, chi vince fa il premier e costruisce una coalizione

IlIl problema è che nel Pdl c'è confusione sulle preferenze, e non è un caso quella frase detta oggi da Bersani sul 'Porcellinum', ovvero su liste bloccate ma corte: il partito di Berlusconi ha fatto questa controproposta al Pd, per aggirare la rivolta degli ex An e non solo che non vogliono mollare le preferenze. Peraltro, al momento 'l'offerta' dell'emendamento D'Alia era «insufficiente» per il Pd: un premio solo del 5% alla prima lista non basta per «aiutare il leader del primo partito a comporre una maggioranza». Piuttosto, il Pd potrebbe essere disposto a ragionare sulle preferenze. Ecco perché i democratici hanno deciso di tentare un ultimo argine: «Vediamo se vogliono fare davvero una legge tutti insieme o solo una legge per non fare vincere noi», dice uno degli 'esperti' Pd.