18 agosto 2025
Aggiornato 07:00
La stagione delle Riforme

Napolitano: Costituente? Io lascerò nel 2013

Il Capo di Stato rivendica la scelta Monti e chiede unione politica in Europa. Colloquio del Presidente con Eugenio Scalfari su Repubblica

ROMA - Ha un senso, una «motivazione» pensare a un'Assemblea Costituente per condurre in porto le riforme costituzionali «dopo trent'anni di tentativi abortiti» ma lui, il presidente della Repubblica, ammette di fare «il conto alla rovescia» per i giorni che mancano al maggio 2013. Scadenza naturale del settennato e fine dell'esperienza. In un lungo colloquio con Eugenio Scalfari, pubblicato oggi da 'Repubblica', Giorgio Napolitano guarda un po' alla storia repubblicana, un po' al passato recente (la scelta di Mario Monti come premier che rivendica a chiare lettere) e molto anche al futuro: l'uscita dalla crisi economica (e bolla come «una sciocchezza o pura demagogia» ogni ipotesi di abbandono dell'euro), la costruzione dell'«unione politica» in Ue che è la vera garanzia di vita per l'Europa, il rapporto con la Germania che resta un «pilastro».

Sul fronte delle riforme Napolitano non si pronuncia «nel merito», ma sottolinea che occorre «una visione ponderata dei nuovi equilibri da stabilire tra le istituzioni e tra i poteri, una visione ponderata alla luce di fondamentali principi e garanzie». Non mancano le riflessioni sul ruolo dell'inquilino del Quirinale che è «il capo di Stato europeo dotato di maggiori prerogative» e con poteri «incisivi e precisi». Tra cui quello di nominare il primo ministro e su indicazione di quest'ultimo i ministri. Potere esercitato solo quattro volte da Einaudi in poi (due volte da Scalfaro nel '93 e nel '94) compresa la scelta di Monti nel novembre scorso che Napolitano difende a spada tratta: ha rappresentato la soluzione per uscire da una crisi politica «senza sbocco».

IL GOVERNO E' UN'ISTITUZIONE - Il governo, peraltro, puntualizza Napolitano «non può mai essere pertinenza esclusiva di un partito. E' un'istituzione, il governo, e risponde a tutti gli italiani. Naturalmente deve avere la fiducia di una maggioranza parlamentare che lo consideri un governo da sostenere attivamente. Quando non fosse più così, le Camere lo sfiducerebbero». Ultima annotazione sulla trattativa Stato-mafia: «La correttezza dei miei comportamenti ha trovato il più largo riconoscimento - ribadisce il presidente -. Ho perfino resa pubblica la lettera da me inviata al Procuratore generale della Cassazione cui sono attribuiti precisi poteri per il corretto andamento dell'amministrazione della giustizia».

SULLA NOMINA DI MONTI - La scelta di nominare Mario Monti presidente del Consiglio è stata ispirata dalla necessità di risolvere una crisi politica «senza sbocco»..
La nomina del premier rientra nei poteri del presidente della Repubblica anche se nella storia Repubblicana questo potere è stato esercitato solo altre tre volte (Einaudi nel '53, Scalfaro nel '93 e nel '94). «Intendiamoci - spiega Napolitano -, è normale, nelle democrazie parlamentari che sia il partito cui gli elettori hanno dato la maggioranza, anche se solo relativa, in Parlamento ad esprimere il primo ministro» ma ci sono stati quattro casi, compreso quello del novembre scorso, «nei quali il presidente della Repubblica dovette esercitare il suo potere per dare soluzioni a delle crisi politiche senza sbocco».
Per nominare Monti senatore a vita prima che premier, precisa Napolitano, «c'era bisogno della controfirma di Berlusconi che era ancora a Palazzo Chigi. La diede subito».
Napolitano ha poi sottolineato che «il governo non può mai essere pertinenza esclusiva di un partito. E' un'istituzione, il governo, e risponde a tutti gli italiani».
«Naturalmente deve avere la fiducia di una maggioranza parlamentare che lo consideri un governo da sostenere attivamente. Quando non fosse più così le Camere lo sfiducerebbero. Questo è il funzionamento corretto di una democrazia parlamentare: il Capo dello Stato nomina tenendo ben presente che il governo dovrà avere la fiducia del Parlamento». Il Capo dello Stato ha ricordato poi, nella storia repubblicana, «le pressioni abnormi dei partiti a lungo esercitate più che per l'individuazione del capo del governo, per la nomina dei ministri e soprattutto per la spartizione degli incarichi negli enti pubblici e nel sottogoverno in una condizione di democrazia bloccata fino agli anni '90». Ma detto questo il ruolo dei partiti per Napolitano resta insostituibile.