1 maggio 2024
Aggiornato 23:30
Giustizia | Tribunale di Palermo

Processo Mori, i PM contestano 2 nuove aggravanti agli imputati

Avrebbero abusato del proprio ruolo per ritardare la cattura di Provenzano. Convegno a Roma: l'eredità di Falcone, il suo metodo d'indagine ha fatto scuola

PALERMO - Colpo di scena al processo al generale del Ros Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Nel corso dell'udienza di stamani, infatti, i pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia hanno contestato due ulteriori aggravanti per gli imputati. Secondo i magistrati, i due ufficiali avrebbero abusato del proprio ruolo per favorire la latitanza di Bernardo Provenzano, ritardando quindi la sua cattura.
Un'altra aggravante, contestata solo al generale Mori, vede invece per la prima volta l'ingresso formale nel processo della presunta trattativa tra Stato e mafia. Secondo i pm, infatti, il generale Mori avrebbe stretto un vero e proprio patto con Cosa nostra, proprio per porre fine alla cosiddetta «stagione delle stragi».

Eredità di Falcone, il suo metodo d'indagine ha fatto scuola - L'eredità di Giovanni Falcone è anche il suo metodo di lavoro investigativo per combattere la mafia, con l'utilizzo scrupoloso dei collaboratori di giustizia e delle intercettazioni. Un metodo d'indagine che ha fatto scuola, come è emerso nel Convegno, Obiettivo Falcone: «Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola» organizzato da URFI, Ufficiali di Complemento e Riservisti Finanzieri svoltosi a Roma nell' Aula Magna dell'Università «Gugliemo Marconi».
Lo spunto è stato fornito dal libro Obiettivo Falcone, di Luca Tescaroli, il magistrato delle indagini sugli attentati dell'Addaura e di Capaci. Sulla morte di Falcone permangono ancor oggi dei dubbi, per esempio, non si sa su chi siano i mandanti esterni della Strage di Capaci, mentre come ha affermato il Sostituto Procuratore della Repubblica di Roma, che per 16 anni ha investigato sui mandanti e sugli assassini del giudice, della moglie e della scorta: «I killer di Capaci furono identificati grazie ai collaboratori di giustizia. In particolare fu Giuseppe Marchese, che indicò in Gioacchino La Barbera, Antonino Gioé e Mezzasca (Mario Santo Di Matteo - il cui figlio fu ucciso dalla mafia, sciolto nell'acido nel 1993,-) come le persone da seguire» per capire chi uccise Falcone.
Il magistrato ha sottolineato quanto sia vitale poter contare sui mezzi di indagine, come l'uso delle intercettazioni e di quanto siano importanti le testimonianze dei collaboratori di giustizia, «Collaboratori le cui deposizioni vengono sempre verificate puntualmente attraverso altre indagini».
Dalle testimonianze di Marche, appunto, attraverso delle indagini incrociate e le intercettazioni si arrivó ai colpevoli: 27 ergastoli e 9 condanne pesanti comminati.
Il Generale GdF, Ignazio Gibilaro - si legge in un comunicato di sintesi del convegno - ha esordito il suo intervento affermando: «Oggi sono qui a testimoniare una cosa taciuta per 30 anni».
«Alla metà degli anni '80 da Torino, ero Capitano, avevo 24 anni, venni mandato a Palermo e insieme a 8 marescialli facevo parte dell'IEFCO, un pool di agenti del tributario che supportava a livello documentale, le deposizioni dei pentiti. Noi seguivamo gli interessi patrimoniali, societari, finanziari, delle famiglie sospettate di appartenere alla mafia, e attraverso lo studio e l'intersecazione dei dati supportavamo a livello documentale quello che i pentiti dicevano a Falcone e al pool dell'antimafia». «Noi sostanzialmente studiavamo la rete di interessi che ruotava intorno a Cosa Nostra». Quel metodo è diventato il metodo d'indagine è tutt'ora utilizzato.
Non solo quel pool, quell'uovo di colombo, fu il precursore del SCICO e GICO.
Mentre Angelantonio Racanelli, membro del CSM, risponde alla provocazione lanciata dal moderatore Gianfranco D'Anna, condirettore Radio Rai, ma allora giornalista di giudiziaria a Palermo, in merito ai cattivi rapporti tra Falcone e il CSM, in particolar modo SICA; che fu nominato al posto di Falcone.
Rimanda poi al mittente, l'autore del Libro, Tescaroli, il fatto che la non elezione al CSM di Falcone fu uno dei motivi di isolamento del Giudice Falcone. Racanelli sostiene che «Sì, ci possono essere problemi anche caratteriali tra i giudici, ma altro», e continua asserendo che i magistrati «anche oggi i magistrati subiscono attacchi dalle Istituzionil».
A chiusura dei lavori, il presidente URFI, Antonio Albanese: ricorda che «di Falcone rimane, lo spessore morale, la sua devozione alle istituzioni, i maxiprocessi alla mafia, e rimangono i suoi metodi investigativi».