24 aprile 2024
Aggiornato 08:00
Berlusconi rinuncia al Decreto Legge

I sospetti del Premier sull'asse Tremonti-Colle

Il Consiglio dei ministri in notturna si limita a varare un maxi emendamento da presentare al ddl stabilità in esame al Senato. Berlusconi domani al G20: «Giulio ormai è diventato peggio di Fini»

ROMA - Una scena che da sola basta a dare un'idea della giornata. Tardo pomeriggio, palazzo Grazioli. Il premier Silvio Berlusconi, davanti all'Ufficio di presidenza del Pdl, annuncia: Per le misure anti-crisi in Cdm vareremo un decreto, un maxiemendamento e, se servirà, anche un successivo ddl. Il dibattito prosegue, ma qualche minuto dopo il ministro della Difesa Ignazio La Russa gli allunga un bigliettino e il presidente del Consiglio legge ad alta voce: «Pare ci siano dei problemi, il Quirinale ostacola il varo del decreto».
E infatti la lunga giornata del premier a caccia di misure «pronto uso» da sfoggiare al G20 di Cannes, si conclude con un Consiglio dei ministri in notturna che si limita a varare un maxi emendamento da presentare al ddl stabilità in esame al Senato. E' questo il «compromesso» di un braccio di ferro che si è protratto per tutta la giornata e che ha avuto come attori principali il premier, il presidente della Repubblica e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti.

Lo scontro tra il Cavaliere e il titolare di via XX Settembre comincia di buon mattino, in un vertice a palazzo Chigi che va avanti per quasi cinque ore, presenti anche i ministri Romani, Sacconi, Matteoli e Calderoli. Berlusconi, viene riferito, insiste perché il governo dia un segnale forte, vuole che si vari un decreto. Tremonti, spiegano fonti di maggioranza, si sarebbe opposto a questa idea. Non solo perché all'interno del provvedimento non sarebbero rientrate soltanto le misure promesse nella lettera all'Europa, ma anche interventi in materia di infrastrutture o banda larga care ai suoi colleghi di esecutivo e inizialmente previste per il famoso e ancora mai varato decreto sviluppo. Il ministro, viene spiegato, avrebbe paventato i rischi di 60 giorni di battaglia parlamentare considerando anche che l'iter del provvedimento sarebbe cominciato alla Camera. Durante il vertice è andato in scena anche uno scontro tra il Superministro e Calderoli sui rimborsi alle aziende: per giunta l'esponente leghista è arrivato ad accusarlo di dire sempre di no. Si tenta una mediazione e alla fine si ipotizza di 'sdoppiare' i provvedimenti: da una parte il maxi emendamento da presentare al Senato con le misure europee (esclusa la parte sui licenziamenti) e dall'altra un decreto con gli altri interventi.

Di certo, il premier avrebbe lasciato la riunione non pienamente soddisfatto, sempre più convinto che il titolare di via XX settembre, al netto delle smentite di rito, rappresenti un grave ostacolo nella gestione del governo. «Ormai è diventato peggio di Fini» si sarebbe infatti sfogato il premier con alcuni interlocutori. Peraltro i problemi di mezzo governo nei confronti di Tremonti si sono plasticamente mostrati nel corso dell'Ufficio di presidenza del Pdl che a un certo punto si è trasformato in un vero e proprio processo nei suoi confronti, e questo sia in sua presenza (come nel caso dell'intervento di Brunetta) che in sua assenza (come per Fabrizio Cicchitto).

Ma sulle rampanti intenzioni del presidente del Consiglio si sono abbattuti anche i forti dubbi del Quirinale, che ha fatto sapere che avrebbe esaminato con estrema attenzione le misure contenute in un eventuale decreto per valutare, come gli concede la Costituzione, se sussistessero i criteri di necessità e urgenza oltre che l'omogeneità della materia. Alla fine passa la strada del maxiemendamento, ma Berlusconi chiede che venga scritto a palazzo Chigi. Insomma, senza il ministro dell'Economia che il premier sta provando di fatto a commissariare.

Tremonti e Napolitano: sono loro i due ostacoli che il Cavaliere individua al termine dell'Ufficio di presidenza, se è vero che soffermandosi a chiacchierare con alcuni ministri ha osservato sconsolato: «La verità è che Giulio è andato al Quirinale per convincere il capo dello Stato mettermi io bastoni tra le ruote sul decreto».