Fini si impone sui «moderati», vincono Bocchino-Della Vedova
Tensioni al congresso fondativo di Futuro e Libertà, non passa la linea Viespoli-Urso. Alleanza Menia-falchi
MILANO - I militanti sono ormai lontani dalla fiera di Rho. Un deputato va in cerca di un panino, non è ancora in programma il ritorno a casa: «Il congresso - scherza - inizia ora». Nel padiglione 18 restano solo alcuni ragazzi ad arrotolare i lunghi tappeti e a ordinare migliaia di sedie. Con loro i vertici di Futuro e libertà. Chiusi in una stanza del retropalco, continuano fino alle 17 a litigare sull'organigramma del partito. E anche quando lasciano la Lombardia, il braccio di ferro continua.
In effetti nel corso della tre giorni fondativa i dirigenti futuristi non hanno mai smesso di duellare, uno scontro sull'organigramma, un conflitto tra due anime che sono andate polarizzandosi: da una parte i 'falchi' pro Bocchino, Menia e alcuni finiani storici come Proietti e Lamorte. Dall'altra Viespoli e la gran parte dei senatori futuristi, insieme ad Adolfo Urso. Con loro, anche se più defilato, un altro finiano doc come Andrea Ronchi. Al termine di un'estenuante trattativa, trapela un'intesa di massima che permetterebbe di siglare un armistizio, con il ticket Bocchino-Urso. Peccato che Fini non sia d'accordo. Il Presidente della Camera supera lo stallo sul nome del capogruppo - per il quale corrono Menia e Urso - imponendo un terzo nome. A sorpresa la spunta Benedetto Della Vedova, mai missino, mai aennino, fra i finiani dell'ultima generazione.
Il leader di An è descritto come molto irritato per l'infinito braccio di ferro. Irritato soprattutto per una trattativa che è sembrata in più occasioni essere sull'orlo della rottura, minacciata dai senatori anti-Bocchino. Raccontano che Viespoli e Saia, Valditara e Baldassarri, tutti fortemente ostili all'ormai ex capogruppo, abbiano minacciato di far saltare il gruppo di Palazzo Madama. Ma si sono scontrato con la volontà mai nascosta in privato da Fini di mettere Bocchino alla guida di Fli.
Il vero sconfitto è Adolfo Urso, entrato coordinatore ed uscito portavoce. Prendere o lasciare, è stato il messaggio che Fini gli ha recapitato. Destino diverso da quello di Bocchino, entrato capogruppo e uscito leader del partito. Menia, fino all'ultimo dato in corso per il ruolo di capogruppo e nominato coordinatore nazionale, vede sfuggire la carica di Montecitorio ma ottiene il ruolo politico di 'vice' Bocchino, frutto di un'alleanza siglata in gran segreto prima dell'assemblea costituente, dopo anni di rapporti tormentati. Il presidente dell'assemblea nazionale diventa Andrea Ronchi.
Anche il rischio di una conta ha lambito l'assemblea costituente. Dopo un documento-denuncia che i senatori avevano consegnato a Fini, il duo siciliano Briguglio-Granata, supportato da alcuni finiani 'storici', ha raccolto le firme su un altro documento per chiedere a Fini di decidere. O, in alternativa, di lasciar decidere l'assemblea. Una soluzione traumatica, che Fini ha inteso evitare, tentando un'ulteriore mediazione.
Poi, in volo da Milano a Roma, il Presidente della Camera decide di dare un segnale di forza, imponendo Bocchino a Viespoli e ai senatori, tirando fuori dal cilindro Della Vedova e bocciando Urso. Con quali conseguenze, si vedrà nelle prossime ore.