L’e-commerce, i «Taobao Village» e Alibaba, perchè la Cina (e il Made in Italy) ci salverà
Secondo le statistiche, l’e-commerce varrà 4mila miliardi di dollari nel 2020 e il 47% del business complessivo avviene in Cina o ad opera di cinesi

MILANO - Alibaba ha appena portato a casa un vero e proprio record. In un solo giorno, nel Single’s Day, ha registrato ben 25,4 miliardi di dollari di merci vendute. Un risultato che ha messo completamente al palo le giornate dei saldi americane, famose per registrare valori alle stelle. E vincendo l’ennesima battaglia nella guerra contro Amazon. Circa il 90% delle transazioni è stato effettuato tramite cellulare, con Alipay che, nei primi due minuti, ha registrato transazioni per un miliardo di dollari. Giappone, Australia e Germania sono stati tra i paesi che hanno effettuato più acquisti. E-commerce, digital payment, millenials. Gli ingredienti di un cocktail decisivo e mortale per i competitor.
Secondo le statistiche, l’e-commerce varrà 4mila miliardi di dollari nel 2020 e il 47% del business complessivo avviene in Cina o ad opera di cinesi, il popolo più propenso ad acquistare online. Ma non solo, perchè è stata la stessa Cina a reinventarsi per andare dietro a Jack Ma. Per loro, pure per i cinesi, Alibaba è stata una salvezza, ha raccontato Cheng un operaio della Cheng Huaibao, fabbrica di letti a castello che produce per la piattaforma di Alibaba. La città di Cheng, nello Shaji, nella provincia orientale di Jiangsu, una volta si basava sull'agricoltura e, più tardi, sul trattamento dei rifiuti di plastica. Oggi è la produzione di mobili a ingrassare i portafogli dei cinesi nello Shaji, una delle oltre 1300 comunità cinesi denominate «Taobao Village», aree che si sono reinventate come basi di produzione per rifornire la piattaforma Taobao di Alibaba.
Questi villaggi sono così chiamati perché almeno il 10% della popolazione di queste comunità rurali vive vendendo prodotti online, soprattutto su Taobao.com, il mercato di consumo di proprietà Alibaba. Il fatturato e-commerce annuale di ogni villaggio non è inferiore a 10 milioni di yuan. Vendendo prodotti artigianali online, gli abitanti di Wantou Village, nella provincia cinese orientale di Shandong, hanno raccolto oltre 43 milioni di dollari. Questi villaggi offrono uno sguardo su come l'industria del commercio elettronico stimoli la crescita economica rurale e i benefici per gli agricoltori. Vendite on-line al dettaglio dei prodotti agricoli della Cina sono stimati a 220 miliardi di yuan (32 miliardi di dollari) nel 2016, in crescita di oltre il 46% rispetto all' anno precedente, secondo il Ministero dell’Agricoltura cinese. Secondo gli ultimi dati, questi villaggi avrebbero creato 840mila posti di lavoro.
Una forza lavoro che parte dalla manifattura locale per riavere un futuro (circa 12 milioni di persone sarebbero ritornate a casa per costruire l’economia locale). Alibaba afferma che le vendite dello scorso anno, pari a 17,8 miliardi di dollari USA in termini di valore lordo della merce, sono aumentate del 32% rispetto al 2015 e sono all'incirca pari al PIL annuo del Mozambico. Jack Ma, sta investendo massicciamente nella creazione di un intero ecosistema di utenti che comprende cloud computing, intelligenza artificiale, negozi automatizzati che utilizzano il riconoscimento facciale, sistemi finanziari, logistica, dati, intrattenimento e sta spingendo nei mercati esteri.
Da una parte l’interesse dei cinesi (ma non solo loro) ad acquistare prodotti manifatturieri online, dall’altra la propensione delle PMI italiane alla conservazione del Made in Italy. Manifattura italiana, commercio online e cinesi, però, potrebbero rappresentare il nostro cocktail vincente. Per noi, italiani, che nel business globale dello shopping online ci accaparriamo solo l’1% con miseri 23,6 miliardi di euro. Eppure alla Cina, il Made in Italy piace. Lo dimostrano le recenti partnership che Alibaba ha siglato, ad esempio, con la Centrale del Latte d’Italia che prevede la vendita e l’acquisto del nostro latte intero a lunga conservazione con marchio Mukki attraverso Tmall, la piattaforma business-to-consumer del gruppo. Oppure l’accordo siglato con Bialetti che porta quindi la macchina italiana per il caffè sulle tavole dei cinesi.
Vendere in Cina, ma anche prepararsi per rendere più facili gli acquisti ai cinesi che vengono in Italia e che nel nostro Paese continuano a spendere, in modo digitale ovviamente. La Cina ha la percentuale più alta di turismo in uscita nel mondo: circa 122 milioni di turisti cinesi hanno viaggiato nel 2016 e si stima che nei prossimi 5 anni saranno previsti 700 milioni di viaggi. Per un fatturato totale che ha toccato (nel 2016, fonte World Travel e Tourism Council) i 215 miliardi di dollari. Solo in Italia i turisti cinesi hanno raggiunto il milione e mezzo. Oltre 520 milioni di cinesi, per pagare, utilizza Alipay, il Paypal di Alibaba. «Il nostro obiettivo di espansione in Europa e in Italia? - ci dice Pietro Candela Head of Business Development of the Italian market di Alipay - Consentire ai turisti cinesi (che hanno un conto in Cina, ndr.) di poter effettuare pagamenti presso gli store europei e italiani attraverso Alipay». Ora, la società punta a soddisfare la crescente popolazione di turisti cinesi in tutto il mondo. E potete immaginare cosa potrebbe significare per l’Italia consentire ai cinesi di pagare attraverso Alipay, in modo più rapido, veloce, flessibile e, soprattutto, digitale.
E’, infatti, proprio l’export a trainare l’e-commerce italiano. Nel 2017 l’export, inteso come il valore delle vendite da siti italiani a consumatori stranieri, vale 3,5 miliardi di euro e rappresenta il 16% delle vendite e-commerce totali. I prodotti, grazie a una crescita del 19%, valgono 2,3 miliardi di euro e rappresentano il 67% delle vendite oltre confine. La bilancia commerciale (export – import) nei prodotti è, a differenza dei servizi, positiva e vale 800 milioni di euro (+150 milioni di euro rispetto al 2016).