Così le startup hanno bisogno della politica e la politica delle startup
Se le istituzioni hanno a volte provato a limitare la portata dirompente della tecnologia, oggi, si sono rese conto che non possono fermarla, ma solo regolarla

ROMA - La chiamavano economia della collaborazione. In un mondo che vede sempre più competitors, tradizione ed innovazione si mischiano per scalare i mercati. Strette di mano, accordi, open innovation. Chi c’era prima apre le serrande a chi c’è adesso per ciò che ci sarà in futuro. Nell’ormai assodata consapevolezza che pochi (forse quasi nessuno) oggi, può farcela da solo. E se le istituzioni hanno a volte provato a limitare la portata dirompente della tecnologia, oggi, si sono rese conto che non possono fermarla, ma solo regolarla. Uno scambio bidirezionale perché le startup, per operare correttamente sui mercati, hanno bisogno di leggi che le supportino. Gli interessi in gioco sono tanti, perché mettersi nel campo dell’innovazione, significa aver anche un ruolo importante nel futuro. Ed è un pullulare di tavole rotonde, indagini conoscitive, agende con proposte di legge dalle Università di tutta Europa. In un’anarchia legislativa in cui sguazzano (e a volte annaspano) le startup, ora c’è bisogno di regole.
L’indagine sul Fintech
E’ il mercato che ha raccolto più capitali in Italia, in controtendenza, visto che si prevede sarà un anno nero per il Venture Capital italiano. Ad accorgersene è stata anche la Commissione Finanze alla Camera che, sul Fintech, ha avviato da alcuni mesi un’indagine conoscitiva promossa dal deputato del Pd Sebastiano Barbanti. L’obiettivo è arrivare a una legge che possa aiutare le startup Fintech a fiorire anche qui in Italia. Sempre che si riescano a smarcare alcuni punti. Di fronte a un settore finanziario fortemente regolato, forse anche ‘strangolato’ dalle attività, processi e costi che implicano l’adempimento alla normativa, uno dei primi punti da smarcare è rappresentato dall’introduzione del cosiddetto sandbox, un ‘recinto regolamentare’ dove le startup possono operare liberamente anche eludendo le leggi per poter testare il proprio prodotto, ovviamente sotto la supervisione delle autorità di vigilanza. Un sistema questo che si sta diffondendo a macchia d’olio già in altri Paesi. A fare da apripista è stato il Regno Unito con il proprio programma Fintech ‘sandbox’ elaborato nel 2015 dalla Financial Conduct Authority (FCA), a ruota Singapore ed Hong Kong hanno annunciato il loro programma, Fintech «sandbox»; anche i paesi del Golfo, che hanno la necessità di costruire e mantenere le economie diversificate per ridurre l’esposizione al petrolio, hanno adottato «sandbox» per aiutare le startup a testare i propri prodotti. Fase che permette alle imprese di avere numeri e metriche per validare il proprio modello di business. Ma non solo. «Uno degli aspetti più importanti, tuttavia, sarebbe rendere nulli tutti i contratti che prevedono clausole di divieto di cessione di crediti commerciali che molti committenti impongono nei rapporti di fornitura ai propri fornitori - spiega Sebastiano Barbanti -. Ci sono milioni di euro attualmente immobilizzati da queste clausole che, se rese nulle, permetterebbero a tutti i crediti commerciali di essere cedibili, aumentando in modo consistente tutto il mercato dell’inovoce trading», quest’ultimo vero e proprio market place virtuale in cui l’impresa può rendere disponibili liberamente per la cessione i propri crediti a potenziali acquirenti (investitori istituzionali, ad esempio). La manovra, peraltro, sarebbe del tutto a costo zero.
Il problema dell’economia dei lavoretti
Ma il Fintech non è l’unico settore ad attirare l’interesse del legislatore. Benché i nuovi servizi finanziari abbiano distrutto completamente quelli bancari tradizionali, ancora nessun colletto bianco è sceso in piazza per protestare. Episodi (anche violenti) si sono invece verificati nel settore della gig economy, tra scioperi e manifestazioni che hanno visto agitarsi riders e tassisti, solo per citarne alcuni. Per l’economia dei lavoretti c’è bisogno di leggi al più presto. Anche perché il mercato è in crescita. Su questo fronte sta intervenendo l’Unione Europea pronta a presentare sul tavolo una proposta di legge entro la fine dell’anno. L’idea della Commissione è di allargare il perimetro di attuazione dell’attuale Direttiva europea sui contratti (la cosiddetta Written Statement Directive) a tutte le forme di impiego, come i lavoratori a chiamata, voucher e i lavoratori della gig economy o su piattaforme online. «I lavoratori hanno il diritto di essere informati sui loro diritti e doveri quando iniziano un lavoro - dice la commissaria al Lavoro, Marianne Thyssen - Voglio che tutti i lavoratori in Europa siano coperti da tutele di base, aldilà del proprio stato di impiego, siano lavoratori di piattaforme online o fattorini».
Una lettera al Governo
Sono pronte a instaurare un dialogo con il Governo anche le startup del biomedicale che, la scorsa settimana, si sono riunite a Torino per la terza edizione dello Startup Biomed Forum, evento organizzato da PNICube, Assobiomedica, BioPmed, e Associazione Italiana Ingegneri Clinici. Dalla tavola rotonda è emersa la necessità di redigere un documento che possa porre le basi per alcune riforme nel settore sanitario. Del resto, in questo momento, il Governo è piuttosto recettivo e le startup hanno buone possibilità di essere ascoltate. Lo sviluppo di un framework nazionale per l’Hta (Health technology assestament) sta diventando, infatti, un punto chiave nelle policy del ministero della Sanità, con una Beatrice Lorenzin sempre più incline a considerare l’Hta - che di fatto è un metodo di analisi - una strategia da adottare per rilevare i vantaggi tecnico-economici apportati dalle innovazioni tecnologiche. «Il metodo Hta è una grande opportunità per facilitare l’entrata delle startup innovative all’interno del sistema sanitario perchè ne può stabilire scientificamente i vantaggi, sia dal punto di vista tecnico che di risparmio di costi - dice ci racconta Paul Muller, founder Niso Biomed e coordinatore Startup Biomed Forum -. Nell’attuale realtà ospedaliera sono pochi i fondi destinati ai dispositivi considerati nuovi e c’è sempre più bisogno di razionalizzare le risorse a disposizione».
Un’agenda dalle università
Un’agenda di riforme è in procinto di essere redatta anche da parte di nove università europee nell’ambito del progetto Horizon 2020 FIRES (Financial and Institutional Reforms for an Entrepreneurial Society), finanziato dalla Comunità Europea con oltre 2 milioni e 500mila euro. L’obiettivo del progetto FIRES, i cui risultati saranno presentati il prossimo maggio, è quello di creare un’agenda di riforme per l’Europa da sottoporre ai policy makers, che dia delle linee guida su come rendere più semplice ed efficace la creazione di nuove startup, rimuovendo quegli ostacoli che impediscono loro di crescere e differenziando le riforme da Paese a Paese. Una strategia di riforma che si basa, necessariamente, sulla storia ricca e diversificata dell’Europa. «Lavoreremo sul campo della conoscenza e del sistema educativo, su quello del lavoro e della finanza», ci ha raccontato in un’intervista il professor Luca Grilli, del Dipartimento di Ingegneria Gestionale (GBI - Center for Global Business and Institutions).
No al caso Flixbus
L’Italia, e l’Europa più in generale, ha bisogno di leggi. A patto che non riducano l’operatività delle imprese innovative e non si ricada in «barzellette» legislative come quella di cui si è resa protagonista il nostro Paese con Flixbus. Manovre indietro e in avanti che hanno rischiato di compromettere il servizio di bus low cost all’interno dei nostri confini e che avrebbero portato un’inflessione negativa per tutti, cittadini compresi.
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