21 gennaio 2025
Aggiornato 03:00
stipendi da fame

Cresce il food delivery, ma a Torino i riders di Foodora protestano

Cresce il mercato del food delivery che oggi in Italia vale 400 milioni di euro. A Torino il primo sciopero della sharing economy con i collaboratori di Foodora

TORINO - Non è difficile vederli girovagare per strada, svincolare il traffico e imboccare la prima via a destra. Pettorina addosso, box sul retro della sella e via. Sono i pendolari del food delivery, Deliveroo e Foodora. Un po’ a Milano, un po’ a Torino, a Roma c’è Moovenda. Insomma, una startup per ogni città. Poi c’è anche chi ormai ha un mercato consolidato come Just Eat che si è esteso in molti paesi europei e che addirittura ha lanciato un acceleratore per aiutare le altre startup.

Cresce il mercato del food delivery
Segno che il food delivery, il mondo delle consegne di cibo a domicilio, va alla grande. Basta un semplice clic per avere a casa o in ufficio il più ardito desiderio calorico: dal sushi più leggero, all’hamburger, dal cibo bio alla lasagna della nonna. Un business da veri duri. Già perchè in Italia il settore del food delivery vale 400 milioni di euro. La stima sul giro d’affari tra tre anni è ancora più sostanziosa: 90 miliardi di euro.

Quanto vale Just Eat
A farla da padrone è sicuramente Just Eat, azienda quotata alla Borsa di Londra. Il servizio è oggi attivo in 15 paesi nel mondo con 64.000 ristoranti affiliati, arrivando a raccogliere a livello globale nel 2015 oltre 96 milioni di ordini da più di 14 milioni di clienti per un fatturato pari a 247,6 milioni di sterline (dati aggiornati al 1° marzo 2016). In Italia ci sono 4.800 ristoranti affiliati, oltre 400 comuni serviti in 19 regioni e un incremento di clienti nell’ultimo anno pari al 200%. Il trasporto del cibo avviene attraverso gli scooter e bici.

Il primo sciopero della sharing economy
Questi i numeri di un mercato che cresce, ma che ha anche un altro volto della medaglia. Quello dei rider sottopagati, quelli di Foodora che a Torino hanno messo in scena il primo sciopero della sharing economy. Si sono radunati in una cinquantina in piazza Vittorio Veneto, quei fattorini vestiti di rosa che se ne vanno in giro per la capitale sabauda di giorno e di notte, con il sole cocente e la pioggia a catinelle. Promoter e rider denunciano «una precarietà estrema e uno stipendio da fame». «Le decine di chilometri che maciniamo ogni giorno – affermano i fattorini di Foodora - i rischi che corriamo in mezzo al traffico, i ritardi, la disorganizzazione, i turni detti all’ultimo momento, venivano ripagati con 5 miseri euro all’ora, mentre adesso addirittura vengono pagati 2,70 euro per ogni consegna effettuata, senza un fisso, con l’ovvia conseguenza che tutto il tempo in cui non ci sono ordini non viene pagato, quindi è a tutti gli effetti tempo regalato all’azienda». Immediata la replica dell’azienda che sottolinea il fatto che non si tratti di un contratto di lavoro datore-dipendente, ma di collaborazione: «L’occupazione per Foodora deve essere considerata un secondo-terzo lavoro. Non un primo. Per chi vuole guadagnare un piccolo stipendio e ha la passione per andare in bicicletta. Non un lavoro per sbarcare il lunario», affermano gli amministratori Gianluca Cocco e Matteo Lentini.