19 aprile 2024
Aggiornato 00:00
Dopo Trump, il New York Times prende di mira WikiLeaks

Usa 2016, per i dem se non stai con Hillary è colpa di Putin

Dopo le accuse dirette a Trump di essere il 'cagnolino' di Putin, l'ultimo target dell'establishment dem è Julian Assange. Colpevole di aver tanto attaccato Hillary, 'risparmiando' la Russia

NEW YORK - Se c'è un obiettivo contro cui Hillary Clinton non si esime mai dal lanciare i propri dardi infuocati, quell'obiettivo (ancor più di Donald Trump) è Vladimir Putin. Anche perché, secondo la narrazione tenacemente propagata dall'ex segretario di Stato, il candidato repubblicano e il capo del Cremlino sarebbero tra loro strettamente collegati. Per Hillary, infatti, Putin vorrebbe Trump alla Casa Bianca, e starebbe macchinando in gran segreto perchè ciò accada. E poiché Putin è nemico dell'America, il suo presunto «amico» Trump non sarebbe un Presidente raccomandabile per gli States.

Le accuse dem
Questa è, almeno, l'argomentazione di fondo che la democratica ha utilizzato più volte, in primis quando il suo staff ha accusato il Cremlino di utilizzare hacker russi  a favore della campagna di Trump. In quel caso, i suddetti hacker, che fossero russi o no, avevano scoperchiato i giochetti del Comitato nazionale democratico per far vincere Hillary Clinton su Bernie Sanders alle primarie: e la Clinton, anziché condannare quelle azioni del tutto anti-democratiche, si è preoccupata di puntare il dito contro la Russia. Ma non è stato un caso isolato: perché alcuni parlamentari democratici hanno nuovamente accusato Mosca di aver hackerato i sistemi elettorali di Arizona e Illinois. Ovviamente per favorire il presunto «russofilo» miliardario.

Sollecitazioni all'FBI
L’establishment democratica non ha perso tempo. Per primo si è mosso il leader della minoranza al Senato, Harry Reid, che ha scritto al direttore del Federal Bureau of Investigation per sollecitare indagini su una possibile interferenza russa nelle elezioni per la Casa Bianca. In particolare, Reid punta il dito, pur senza farne il nome, contro due consiglieri di Trump, accusati di vantare legami con la Russia. Il riferimento sarebbe a Roger Stone, che ha dichiarato di essere in contatto con il fondatore di WikiLeaks (autore della diffusione dei primi documenti contro Hillary), e Carter Page, consigliere per la Politica estera del magnate, che è stato più volte avvistato a Mosca, l'ultima delle quali a luglio.

E ora è la volta di Assange
Ma non è finita. Perché, al già rocambolesco triangolo Clinton-Trump-Putin, si aggiunge ora un altro elemento: Julian Assange, proprio il fondatore di WikiLeaks. Nonché colui che ha rivelato al mondo intero scandali e segreti della candidata democratica. La storia di Assange è nota: giornalista, programmatore e attivista australiano, nel 2010 è assurto agli onori delle cronache per aver pubblicato 251.000 documenti diplomatici statunitensi, molti dei quali confidenziali o addirittura segreti. Non si può certo dire che WikiLeaks abbia avuto occhi solo per Hillary: anzi, i suoi dossier sono vari e numerosi, e riguardano istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale e la National Security Agency, trattati commerciali come il TTIP, partiti politici come l’AKP di Erdogan, temi caldi come le guerre in Afghanistan e in Iraq e la crisi migratoria in Europa. Eppure, il fatto che tra le rivelazioni di Assange abbiano avuto posto le controverse e-mail di Hillary è stato sufficiente perché il fondatore di WikiLeaks diventasse il nuovo bersaglio dell’establishment democratica.

L'ultimo dardo di Assange
Forse, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’avvertimento lanciato da Assange via Facebook: secondo il giornalista, è stata proprio la «stampa liberal» la maggiore responsabile dell’ascesa del «demone» Hillary, colpevole di aver diffuso «un’isteria neo-McCarthista» nei confronti della Russia. Non solo: a suo avviso, se l’ex segretario di Stato verrà eletta Presidente, finirà però per mettere un «cappio» al collo di quegli stessi media. In pratica, secondo Assange, con Hillary presidente la stessa libertà di stampa sarebbe seriamente a rischio.

Il contrattacco del New York Times
Un attacco di troppo. Così, a scendere in campo a favore della rivale di Donald Trump, è stato nientemeno che il New York Times, notoriamente di impostazione editoriale democratica. E non a caso, il quotidiano della Grande Mela, per passare efficacemente al contrattacco di Assange, ha scelto un argomento carissimo alla «sua» candidata: e cioè, denunciare presunti legami con la Russia del fondatore di WikiLeaks.

Anche Assange è il 'cagnolino' di Putin?
Il New York Times invita infatti i suoi lettori a notare come «evidentemente assente dall’analisi del singor Assange, sia stata la critica nei confronti di un’altra potenza mondiale, la Russia, o del suo presidente Vladimir Putin». E di fronte a tale evidenza il quotidiano non trova altra spiegazione, se non ipotizzando una presunta «russofilia» di Assange. Circostanza la cui veridicità sarebbe supportata dalla pubblicazione delle 20.000 mail della Commissione democratica nazionale lo scorso luglio, in origine hackerate dai russi. «WikiLeaks è diventata una macchina di riciclaggio di materiale compromettente raccolto da spie russe?», si chiede il quotidiano. «E più precisamente, che relazione intercorre tra il signor Assange e il Cremlino di Vladimir Putin?», prosegue.

L'autodifesa di Assange
Annose questioni, per il New York Times. Che, non avendo alcuna prova per accusare WikiLeaks di «collusione» con Mosca, suppone – citando la tesi di alcuni ufficiali americani – che il sito di Assange sia diventato uno strumento più o meno consapevole della propaganda russa. Tutte tesi, ovviamente, vigorosamente smentite dal diretto interessato. Il quale ha fatto notare come Mosca, a confronto con gli Stati Uniti e la Cina, sia un attore piuttosto modesto sulla scena mondiale. E ha ricordato peraltro come le critiche verso la Russia non siano di certo una novità, e le accuse di corruzione rivolte al Cremlino una vecchia storia. «Un po’ noioso, non trovate?».

Parlando di democrazia...
Il fondatore di WikiLeaks, in parole povere, ritiene forse più rilevante svelare tutte le enormi contraddizioni che si celano dietro la tanto decantata democrazia occidentale, quella che poi si arroga il diritto di «esportare» quella stessa democrazia in altre aree del mondo, e di giudicare il grado di democraticità di altri Paesi. In questo quadro, era quasi scontato, che alla «democratica» Hillary Clinton e al suo entourage, un simile atteggiamento non andasse proprio giù. Offrendo però una ghiotta occasione per puntare il dito, come al solito, contro Vladimir Putin.