20 aprile 2024
Aggiornato 12:00
Dopo la Brexit

Europeista à la carte: perché la Merkel non vuole più l'integrazione (né la disintegrazione) dell'UE

Il ruolo egemonico di Berlino non è mai stato controbilanciato dai dovuti oneri. Ecco perché la Germania non vuole nè più integrazione nè la disintegrazione dell'Ue. Ma è per lo status quo.

BERLINO«La nazione indispensabile per l’Europa». Questo è la Germania per il suo ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, che, nel tentativo di esaltare il ruolo di Berlino nell’Ue, cita con orgoglio le parole dell’ex ministro polacco  Radek Sikoroski. E pazienza se, nella stessa Europa, sono sempre più numerosi quelli che credono che la Germania, più che la locomotiva, sia la zavorra del Continente. Steinmeir, in un intervento su Foreign Affairs destinato a far discutere, intesse l’apologia del suo Paese, e dell’egemonia europea certosinamente costruita nei decenni  successivi al crollo del Muro.

Il «ruolo globale» di Berlino
Che la Germania attiri in ugual quantità ammirazione e critiche – queste ultime soprattutto per la sua gestione della crisi migratoria, nonché della crisi economica – il Ministro lo ammette placidamente. Eppure, queste critiche, a suo avviso, dimostrano soltanto un’incapacità, da parte dei «non tedeschi», di comprendere e accettare la grandezza della Germania. Perché la forza di Berlino – per Steinmeier – è stata quella di rimanere salda e stabile mentre il mondo intorno cambiava. La Germania manteneva il suo ruolo nel mondo mentre gli Stati Uniti pativano le conseguenze della scellerata guerra in Iraq, e, mentre l’Europa annaspava nella soffocante crisi economica, Berlino si imponeva man mano come la principale potenza economica del Vecchio Continente.

Le parole di Steinmeier, tradotte per i «sudditi»
Ma ciò che per il Ministro teutonico sono auree e quasi divine virtù, per noi comuni mortali rappresentano i più mortali vizi tedeschi. Perché alle orecchie di chi, questa egemonia di Berlino, l'ha subita, le parole di Steinmeier suonano in tutt'altro modo: la Germania, in barba a qualsiasi principio di solidarietà europea, ha saputo imporre le condizioni a sé più vantaggiose nel rivendicare ed esercitare l’egemonia dell’unione monetaria. In primis, rifiutando di accollarsi i debiti degli altri, e tantomeno di accettare una sovranità condivisa e una solidarietà diffusa tra gli Stati membri. Un impegno che - piccolo particolare - sarebbe stato il necessario contrappeso allo strapotere tedesco, nonché l'unico modo far vagamente funzionare un’Unione (monetaria) nata già da principio zoppa.

Un'Unione a immagine e somiglianza tedesca
A leggere ciò di cui si vanta Steinmeier  della Germania – e cioè della capacità di «mantenere le proprie posizioni, risalendo la china delle proprie difficoltà economiche e assumendo le responsabilità derivanti dal ruolo di prima economia d’Europa»  –  viene quasi da sorridere. Perché, a voler tradurre nella lingua degli Stati sudeuropei ciò che in tedesco appare tanto maestoso, il risultato diventa tragicomico: la forza della Germania è stata quella di imporre le proprie condizioni, la propria velocità e i propri interessi sui suoi vicini, anche consapevole che ciò li avrebbe trascinati nell’abisso. Intanto, l’Europa si illudeva che un’unione monetaria potesse precedere e incoraggiare la formazione di un’unione politica, prospettiva che invece non si è mai realizzata, e che in realtà la stessa Germania non ha mai avuto interesse a creare. Soprattutto, per non rischiare di doversi accollare le difficoltà degli altri Stati membri, o di dover perdere per un attimo di vista il proprio vantaggio, per considerare quello comune.

Europeista à la carte 
Non è un caso che ancora oggi, dopo la Brexit, il ministro delle Finanze Schauble sia letteralmente impallidito nel sentir parlare della necessità di una più stretta integrazione. «Non è il momento giusto per lavorare a una maggiore integrazione dell’eurozona», ha puntualizzato colui che viene generalmente considerato il più europeista degli europeisti. Peccato che la Germania sia europeista solo quando le conviene, un'europeista, per così dire, à la carte. Per Berlino, è assolutamente accettabile essere la zavorra d’Europa: l’importante è che la situazione non si ribalti, e che non sia l’Europa a diventare la propria zavorra. Proprio come potrebbe accadere se si assumesse realmente le responsabilità derivanti dal proprio ruolo.

Un ministero del Tesoro europeo, per completare il piano
Per la Germania, l’unico modo per «completare» l’unione politica e monetaria sarebbe l’introduzione di un ministero del Tesoro europeo, rigorosamente «sovranazionale» e sovraodinato rispetto al Parlamento europeo e ai singoli governi. Un organismo – per intenderci – autorizzato a decidere le politiche di bilancio dei vari Paesi. Il suddetto Ministro dovrebbe prendere il posto della Commissione europea, per Berlino troppo debole. E soprattutto, dovrebbe guidare con regole vincolanti le politiche fiscali dei membri, svuotando dunque i Parlamenti nazionali dei poteri che ancora consentono loro di mettere quantomeno in dubbio le politiche di austerità.

Tirannia
Questa è la «maggiore unione» che la Germania è disposta ad accettare. Qualsiasi altra formulazione, che possa al contrario obbligarla ad assumersi anche gli oneri, oltre che gli onori, di questa balbuziente Europa, non è assolutamente contemplata.  Ed è proprio alla luce di questo dibattito che andrebbe interpretato l’elogio della «Germania felix» dispiegato dal ministro degli Esteri tedesco. Una Germania felix – verrebbe da dire – a spese degli altri. E pazienza se Steinmeier la mette così: «La reazione della Germania alla crisi del 2008 ha solo rafforzato il suo posizionamento economico. [...] Di fronte a una concorrenza incalzante, la Germania ha semplicemente tenuto le proprie posizioni meglio degli altri». Quello che per il Ministro teutonico è il ruolo globale della Germania pazientemente e tenacemente costruito nel tempo, per tanti, troppi altri, è una tirannia.