28 agosto 2025
Aggiornato 07:00
Il riconoscimento di Time e Financial Times

Merkel «persona dell'anno»? Perché la cancelliera non è il «vanto dell'Europa»

La gestione della crisi dei rifugiati è valsa, ad Angela Merkel, una candidatura per il Nobel per la Pace, il titolo di «Persona dell'anno», e le definizioni di «cancelliera del mondo libero» e di «vanto di tutta l'Europa». Ma noi, in proposito, qualche dubbio lo abbiamo

BERLINO - Se c'è qualcuno per cui questo 2015 non è stato un anno facile, questo qualcuno si chiama Angela Merkel. Intendiamoci: non che per qualcun altro, in Europa e fuori, gli ultimi 365 giorni siano stati una passeggiata; eppure, per la cancelliera di Germania sono stati particolarmente irti di ostacoli. La crisi greca, l'immigrazione, la perdita di consenso in patria, lo scandalo Volkswagen hanno contribuito a renderle l'agenda dell'ultimo anno estremamente densa. Eppure, quest'annata si è conclusa con due importanti riconoscimenti: non avrà vinto il premio Nobel per la Pace per cui molti la davano papabile, ma Angela Merkel, alla fine, è stata eletta «persona dell'anno» dal Time e dal Financial Times.

I meriti riconosciuti
A dire il vero anche Forbes, qualche mese fa, l'ha posizionata al secondo posto tra le persone più influenti del pianeta dopo Vladimir Putin; ma la corona è giunta dalle due autorevoli testate sopracitate, che hanno giustificato la loro valutazione basandosi soprattutto su un «merito» della cancelliera: la sua gestione della crisi dei profughi. Entrambi i giornali hanno messo in luce l'incredibile «cambiamento» nell'atteggiamento di Angela: da sempre nota per l'incrollabile cautela, la mossa della cancelliera di spalancare le porte ai rifugiati siriani ha rimpiazzato l'immagine di leader prudente con quella di politico dalle forti e coraggiose convinzioni. Davanti alla crisi dei rifugiati, la Merkel avrebbe dismesso una volta per tutte quel tipico modo di fare che si è meritato addirittura una definizione neologistica: il «merkeln»,  cioè il «non dare opinioni». Tale atteggiamento sarebbe la preziosa eredità lasciata dal padre pastore luterano, che in vita più volte consigliò alla sua promettente figlia cresciuta per 35 anni nella Germania dell'Est di non sbilanciarsi, e tenersi le proprie opinioni per sè. Ma davanti all'enorme afflusso di persone che negli scorsi mesi ha interessato l'Europa, Angela pare avere chiuso in un cassetto le sue precedenti convinzioni, spingendosi fino a inimicarsi parte del suo partito per difendere quello che riteneva più giusto. E non è ancora chiaro - scrive il Financial Times - se tale decisione gioverà alla sua reputazione; ma, se lo farà, la renderà popolare almeno quanto lo fu il suo beneamato predecessore Helmut Kohl, che guidò la Germania nell'epoca della riunificazione e dell'affermazione dell'euro. 

Anche sull'immigrazione, qualche ombra c'è
Tralasciando l'agiografia merkeliana abilmente tracciata da Time e Financial Times, rimane forse da fare qualche considerazione a proposito del punto in questione: Angela Merkel «persona dell'anno». Il Time, addirittura, l'ha definita «cancelliera del mondo libero», e Bernard Guetta il «vanto dell'Europa». Non che la sua presa di posizione sul fronte migratorio non sia degna di nota: di certo, è stata una posizione coraggiosa e ammirevole, tanto da far ipotizzare al Financial Times che la sua origine affondi nei forti valori cristiani della leader tedesca. A nostro avviso, quella della Merkel è stata piuttosto una decisione ragionata e pragmatica, in perfetto stile teutonico: di fronte all'evidenza che difficilmente muri e porte chiuse avrebbero fermato l'ondata, la cancelliera ha preferito cercare di gestire il flusso in maniera proattiva, piuttosto che subirlo, e per di più dettando l'agenda al resto d'Europa. Eppure, sbaglieremmo a credere che la sua politica si sia limitata ad «aprire»: perché, poche settimane dopo il suo annuncio generoso, la Merkel è stata costretta a sospendere Schengen per poter fare i conti con gli alti costi organizzativi dell'accoglienza; contemporaneamente, ha preso delle precauzioni, rafforzando le regole di accesso all'asilo e e tagliando alcuni benefit per i nuovi arrivati; e solo qualche ora fa, ha ribadito con fermezza le sue posizioni di fronte al suo traballante partito, ma ha anche ceduto al compromesso, promettendo il suo impegno per la riduzione del flusso di migranti in arrivo. Non da ultimo, è tra i principali sostenitori dell'accordo con l'ambigua Turchia di Erdogan, deputata a «trattenere» i migranti al di là del mare in cambio di dispendiose concessioni. Senza contare che l'accordo europeo sull'immigrazione, a cui ha partecipato Berlino in prima linea, è ancora lontanissimo dal trovare la quadra, non apre vie legali di immigrazione e prevede un'ambigua «missione contro i trafficanti» in Libia che rischia di rivelarsi, se non poco utile, addirittura controproducente per gli interessi (di sopravvivenza) dei profughi stessi. Come si vede, dunque, la stessa politica migratoria di Angela Merkel è ben più disincantata di quanto potrebbe apparire a prima vista.

Ci siamo scordati la Grecia?
Ma anche tenendo per «buona» la generosa valutazione delle due testate, le perplessità rimangono. Perché la Merkel che apre le porte ai rifugiati è la stessa che, nei mesi estivi, ha costretto la Grecia a soccombere sotto il peso di un enorme e insostenibile debito, facendole accettare un accordo evidentemente dannoso e capace solo di sottrarle speranza e sovranità. Il Financial Times non si dimentica della questione ellenica, ma ricorda che le decisioni della cancelliera in proposito, seppur giudicate duramente nel Sud Europa, sono state invece ritenute troppo deboli in patria e al Nord. Il Time mette in rilievo come alla fine, da quel terribile braccio di ferro, la sua leadership europea ne sia uscita rafforzata. Tuttavia, è difficile dimenticarsi il moto di protesta e avvilimento che in quei giorni i quotidiani europei e americani fotografavano. Impossibile dimenticare gli editoriali di illustri firme quali Ambrose Evans-Pritchard o dei premi Nobel Joseph Stiglitz e Paul Krugman, pubblicati sulle autorevoli pagine del Telegraph, del Guardian o del New York Times, che censuravano l'impietosa linea dura tenuta da Berlino; ugualmente impossibile cancellare quell'ondata di orgoglio che il referendum di luglio, con la vittoria del «no», aveva letteralmente invaso il Sud Europa (e non solo). E in quell'occasione, la «donna dell'anno», «cancelliera del mondo libero», ha letteralmente fatto naufragare la Grecia, incurante delle conseguenze catastrofiche delle condizioni che sosteneva. In quell'occasione, molti pensatori illustri l'hanno accusata di aver fatto naufragare lo stesso progetto europeo. Ecco perché oggi, qualche mese dopo, seppur nell'assopito silenzio delle cronache internazionali, ci pare decisamente eccessivo definire la stessa Merkel il «vanto di tutta l'Europa».