28 marzo 2024
Aggiornato 10:00
Sondaggi: indipendenza non sfonderà, ma questione resterà in agenda

Catalogna verso il voto, presto una nuova Scozia?

A venti giorni dalle elezioni regionali catalane, che il governo uscente intende presentare come un plebiscito sull'indipendenza, il risultato rimane in equilibrio ma una cosa è certa: la questione rimarrà sul tavolo

MADRID (askanews) - A venti giorni dalle elezioni regionali catalane, che il governo uscente intende presentare come un plebiscito sull'indipendenza, il risultato rimane in equilibrio ma una cosa è certa: se fino ad appena cinque anni fa la questione era ritenuta - se non un tabù - troppo remota per poter essere presa in considerazione, è ora destinata a rimanere sul tavolo politico.

Maggioranza di seggi agli indipendentisti?
Stando ai sondaggi infatti, il «listone» indipendentista dovrebbe avere la maggioranza dei seggi, ma non quella dei voti. Differenza che potrebbe rivelarsi politicamente decisiva: uno scenario per così dire «scozzese», ovvero in cui l'indipendenza non vince, ma si guadagna il diritto a riprovarci, a breve o medio termine. Secondo le ultime rilevazioni Junts pel Sì e la Candidatura d'Unitat Popular (Cup), rispettivamente il 'listone' e gli indipendentisti dell'ala civica del movimento, dovrebbero ottenere insieme tra i 67 e i 70 seggi, con la soglia di maggioranza a 68: le percentuali di voto tuttavia non supererebbero il 44%. La differenza è importante, perché da una parte JpS insiste sulla maggioranza parlamentare come sufficiente per proseguire nel cammino dell'indipendenza, mentre la Cup - i cui seggi sono peraltro necessari per la maggioranza in Parlamento - insiste anche sulla necessità di una percentuale di votanti superiore al 50%.

Terza Ciudadanos
Terza forza - e leader dell'opposizione - diverrebbero i populisti conservatori di Ciudadans, contrari all'independenza, con 25-27 seggi. Mentre calano, ma senza precipitare nell'irrilevanza come sembrava possibile, sia i socialisti del Psc (13-14) che i conservatori del Pp (10-11); Podemos non si presenta direttamente, ma la lista di cui fa parte (insieme a Izquierda Unida e ai Verdi), Catalunya sì que es pot, otterrebbe fra i 15 e i 17 deputati.

Se non ora, presto
Il 28 settembre, il giorno dopo il voto, dunque il messaggio potrebbe essere: se non ora, presto. Questo, se all'interno del fronte indipendentista non vi saranno fratture su come proseguire nel frattempo, vista la discordanza di non poco conto sui criteri necessari per lanciare la cosiddetta Dui, ovvero «dichiarazione unilaterale di indipendenza». Che cosa accadrebbe in quest'ultimo caso, non è chiaro: il governo conservatore del Pp fino ad ora ha fatto orecchie da mercante, limitandosi a delle iniziative giudiziarie per impedire la possibilità di un referendum e proponendo nei giorni scorsi una riforma della Corte Costituzionale che desse ai supremi giudici gli strumenti per punire direttamente chi viola le sue sentenze. Una pistola amministrativa puntata contro i dirigenti indipendentisti.

Quale soluzione?
Ma il partito del premier Mariano Rajoy non ha avanzato alcuna proposta per una soluzione politica alla crisi: crisi della quale è peraltro il massimo responsabile fin da quando, ancora all'opposizione, aveva presentato ricorso alla Corte Costituzionale contro il nuovo Statuto di Autonomia catalano votato dalle Cortes, innescando un meccanismo di «muro contro muro» che ha di fatto trasformato l'indipendentismo da opzione minoritaria in possibile maggioranza sociale.
Dal Pp - timoroso anche di un sorpasso a destra di Ciudadanos a pochi mesi dalle elezioni politiche, probabilmente a dicembre - non è arrivata alcuna strategia per far fronte alla questione, se non far dire da altri capi di Stato e di governo europei che una secessione interna all'Europa avrebbe pesanti conseguenze per chi volesse provarci.

Avvertimento da Cameron, esperto in referendum secessionisti
L'ultimo avvertimento in tal senso è arrivato dal premier conservatore britannico, David Cameron, che in occasione della visita a Londra di Rajoy ha spiegato che un'ipotetica Catalogna secessionista sarebbe automaticamente fuori dall'Europa. D'altronde però vale la pena di notare che - con tutte le differenze storiche fra i due casi - al contrario di Rajoy, Cameron un referendum sull'indipendenza della Scozia l'ha autorizzato, pur se sicuro di una vittoria che alla prova dei fatti si è rivelata tuttavia di margine ben più stretto di quanto previsto. In secondo luogo, da Londra - e prima da Berlino, tappa precedente del tour pre-elettorale di Rajoy - non è arrivata l'affermazione che l'indipendenza catalana è di per se stessa impossibile o illegale: difficile quindi immaginare che Madrid, se mai si dovesse arrivare al dunque, possa far ricorso alla forza, aprendo uno scenario senza precedenti di un conflitto interno alla stessa Ue. Il paradosso dunque è che si arrivi ad una situazione alla quale entrambe le parti non sono affatto preparate: due mesi di limbo - almeno cioè fino a che le politiche spagnole non avranno chiarito quale sia la maggioranza a Madrid con cui Barcellona dovrà effettivamente fare i conti - che potrebbero rilanciare un'opzione di tipo federalista, difesa per esempio dai socialisti. Una possibilità che seppure appare di buon senso fino ad ora non ha ricevuto un solido appoggio popolare in Catalogna, dal momento che tutte le precedenti promesse in questo senso - a partire appunto dallo Statuto di Autonomia - sono andate disattese.