Nato e Usa minacciano no-fly zone, ma Russia frena
Lo scoglio più duro rimane comunque il Consiglio di Sicurezza. Si va verso l'adozione di nuove sanzioni finanziarie UE, contro fondo sovrano
TRIPOLI - Mentre la situazione sul terreno in Libia è rimasta oggi in sostanziale stallo, sul fronte diplomatico gli Stati Uniti e i loro alleati hanno intensificato le pressioni per cercare di scongiurare lo spettro di una lunga guerra civile. Soprattutto Francia e Gran Bretagna hanno premuto sull'acceleratore per preparare una bozza di risoluzione da presentare «entro breve tempo» in Consiglio di Sicurezza, con l'obiettivo di creare una no-fly zone sul paese Nordafricano.
«La Nato sta considerando diverse opzioni, compresa la possibilità di operazioni militari» in Libia, ha detto il presidente americano Barack Obama. Obama ha anche insistito sul fatto che «i collaboratori del leader libico saranno ritenuti responsabili delle violenze». Secondo il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, fra le opzioni teoriche allo studio degli Usa ci sarebbe anche l'invio di truppe terrestri statunitensi, ma al momento attuale «non è in cima alla lista».
Anche il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha lanciato un avvertimento: i bombardamenti sulla popolazione civile costituiscano un possibile crimine contro l'umanità. «Se Gheddafi e i suoi militari continueranno ad attaccare la popolazione in modo sistematico - ha detto - non posso pensare che la comunità internazionale e l'Onu resteranno a guardare». Rasmussen ha precisato però che qualsiasi intervento della Nato avrebbe bisogno del sostegno legale dell'Onu. Identiche condizioni sono state poste dalla stessa Gran Bretagna e dall'Italia, che per bocca del ministro degli Esteri Franco Frattini ha definito anche «imprescindibile la non contrarietà della Lega araba e dell'Unione africana».
Lo scoglio più duro rimane comunque il Consiglio di Sicurezza. Qui, a fronte dell'attivismo di Francia e Gran Bretagna e - sia pure con diverse cautele - degli Stati Uniti, la Russia si è dichiarata contraria a qualsiasi intervento: «Non vediamo l'ingerenza straniera, tanto più militare, come un mezzo per risolvere la crisi in Libia», ha detto il ministro degli Esteri di Mosca Sergey Lavrov. D'altronde sarebbe difficile sostenere che una no-fly zone costituisce un'operazione solamente umanitaria, dato che perché venga rispettata è necessario distruggere i sistemi radar libici e, se necessario, punire le violazioni.
Sebbene fonti diplomatiche parlino di una decisione «entro la settimana», appare più probabile che sul breve periodo vengano approvate nuove sanzioni economiche, come quelle che sta preprando l'Ue: dopo il congelamento dei beni di 26 responsabili del regime libico adottato a fine febbraio, nel mirino dei Ventisette c'è ora alla Libyan Investment Authority (Lia), il fondo sovrano da 70 miliardi di dollari attraverso il quale il regime di Gheddafi ha investito in molti paesi, Italia in testa. Se entro domattina nessun governo si opporrà - e non è previsto - le misure di congelamento dei beni della Lia dovrebbero essere approvate formalmente entro venerdì, quando i capi di Stato e di governo europei si riuniranno in un summit straordinario a Bruxelles.
Sul terreno, la giornata di oggi non ha fatto registrare svolte: le forze ribelli hanno perso il controllo di Ben Jawad ma resistono a Misurata e Zawiyah, nonostante i rinnovati attacchi delle truppe governative; Ras Lanuf è stata colpita da un raid aereo che avrebbe causato diverse vittime civili.
Tutta da confermare invece la notizia riportata dal quotidiano panarabo al-Sharq al-Awsat, secondo la quale Gheddafi avrebbe proposto al Consiglio Nazionale ribelle il suo esilio in cambio delle garanzie di immunità per il rais e per la sua famiglia: Gheddafi avrebbe inviato un proprio negoziatore a Bengasi, ponendo come condizione il trasferimento dei poteri al Parlamento libico. Al momento non si ha notizia di alcuna risposta da parte del Consiglio Nazionale, che non sarebbe disposto tuttavia a trattare; secondo fonti della BBC, il Consiglio avrebbe posto come condizioni non negoziabili l'abbandono del potere da parte del rais e l'indivisibilità del Paese.
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