19 marzo 2024
Aggiornato 08:30
Lavoro

Di Maio vuole stravolgere la gig economy: un attacco senza precedenti alla deregolamentazione del mondo del lavoro

Di Maio vuole regolare il mercato del lavoro precario: i colossi del cibo a domicilio minacciano di andarsene dall'Italia. Lo faranno davvero?

Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio durante l'incontro con le aziende della gig economy al ministero del Lavoro
Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio durante l'incontro con le aziende della gig economy al ministero del Lavoro Foto: ANSA/ETTORE FERRARI ANSA

ROMA - Il governo "Frankenstein", come in molti l'hanno definito, sposta la sua opera sul piano del diritto del lavoro, e lo fa con la proposta del ministro Di Maio inerente i cosiddetti ciclofattorini della gig economy. Ma, in realtà, l'idea ipotizzata dal ministro del Lavoro abbraccia l'intero modello economico fondato sulla precarietà e la competizione al ribasso. Riuscirà a passare la sponda sinistra del governo? Il governo si sta dividendo i compiti: il lato destro sulla sicurezza, con netta egemonia, mentre quello sinistro rincorre sul piano dei diritti sociali e del lavoro: e qui il terreno appare decisamente più instabile, per non dire pericoloso. In fondo, i soggetti che Di Maio chiama in causa non sono solo lavoratori e imprenditori, in termini novecenteschi, ma soprattutto i consumatori, che sono la figura centrale del neolibesimo globalizzato. I quali, i consumatori, sono tutti abituati a prezzi stracciati per ogni tipo di merce. Una nuova legislazione anti precariato toccherebbe il primato del prezzo finale al massimo ribasso, evidenziando l'assenza di solidarietà sociale?

Ichino e il precariato perenne
Il giuslavorista Pietro Ichino, già Cgil, in una intervista rilasciata alla Stampa spiegava come dovrebbe essere riformato il mercato del lavoro: «Il sistema del pagamento attraverso la piattaforma dell'Inps, introdotto nall'aprile scorso, funziona. Il problema è costituito dalla drastica diminuzione dei datori di lavoro che possono accedervi: famiglie o imprenditori di dimensioni minime, comunque per un importo massimo annuo molto basso. Basterebbe rimuovere quella limitazione». Il giuslavorista sostiene quindi che si dovrebbe eliminare ogni limitazione al sistema dei voucher, affinché imprese di qualsiasi dimensione possano utilizzarli. Si parla di rapporti di forza quando l'impresa privata risponde, attraverso la voce di uno dei suoi più prestigiosi cultori, alle spinte progressiste del potere statale. Non a caso la proposta di Ichino, che rispolvera anche il mai tramontato strumento delle gabbie salariali, giunge dopo la sortita del ministro Di Maio, inerente l'inquadramento professionale dei ciclofattorini, e in generale della cosiddetta gig economy.

Se Foodora e gli altri se ne vanno...
Gianluca Cocco, ad dell'azienda Foodora, tra le principali del food delivery, in un'intervista al Corriere della Sera ha detto che "se fossero vere le anticipazioni del decreto dignità" le piattaforme digitali sarebbero costrette ad abbandonare l’Italia. Niente meno. In una replica, il ministro è venuto incontro alle posizioni dei colossi del «cibo a domicilio», indicando in una trattatativa il mezzo idoneo per salvare profitti e creare nuovi diritti ai lavoratori. Ha aggiunto che non intende subire ricatti. Minaccia che, al momento, appare del tutto infondata: differentemente dal settore primario, Foodora e gli altri non possono delocalizzare la loro produzione, essendo un servizio. La sentenza del Tribunale di Torino non lascia molti margini di trattativa al momento: i ciclofattorini non sono stati riconosciuti come dipendenti subordinati o parasubordinati, e sono stati relegati nel limbo dei collaboratori occasionali.

Si torna al passato?
Tutti dipendenti, tutti sindacalizzati, con ferie e contributi, tutti con un «trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti dal contratto collettivo applicabile all’attività prestata». E quando non c’è un contratto collettivo, valgono «i minimi previsti per prestazioni analoghe», quelle del contratto collettivo del «settore o della categoria più affine». Questo il contenuto della bozza del decreto firmata da Di Maio. La legge prevede quindi che i fattorini divengano lavoratori subordinati, di fatto bloccando il cottimo: ovvero il cuore della controriforma degli ultimi trent'anni. L’articolo 3 della bozza di decreto recita: «Non è consentito retribuire a cottimo, in tutto o in parte, le prestazioni di lavoro svolte tramite piattaforme, applicazioni e algoritmi elaborati dal datore di lavoro o per suo conto». Viene depotenziato anche il controllo dell'algoritmo, che potrà essere utilizzato solo dopo un periodo di esperimento.

Attacco alla gig
Di fatto è un attacco senza precedenti alla derogolamentazione del mondo del lavoro, alla sua trasformazione in merce da vendere sul mercato. Ovviamente è l'inizio di un percorso, che per molti aspetti recupera alcune sentenze che hanno avuto luogo in Gran Bretagna, in particolare per Uber: e con ogni probabilità si andrà verso uno stemperamento della riforma proposta da Di Maio. Magari prendendo spunto proprio dagli strumenti proposti da Pietro Ichino, che però appaiono diametralmente opposti. Forse si troverà una sintesi. In ogni caso siamo di fronte al primo caso di legittima contestazione istituzionale di un sistema globale, che tende a comprimere la capacità d'acquisto e in cambio offre un'inflazione inferiore al due per cento. Le storture di questa competizione al ribasso sono chiaramente individuabili in un progressivo, e manifesto, deperimento dell'offerta di lavoro.

Diritto del consumatore
Rimane l'enigma di come reagirebbe il consumatore di fronte a un rialzo dei prezzi. La questione travolge l'intero settore: perché, dopo i ciclofattorini, sarebbe il turno dei taxisti privati di Uber et similia, i ristoratori a domicilio, e in generale l'intero settore travolto dalla rottamazione digitale. Siamo disponibili a spendere di più in cambio di una contrattualizzazione stabile di milioni di lavoratori? Di un ritorno agli anni Settanta, e quindi al primato del contratto collettivo di categoria? La domanda, posta in questi termini, appare assai retorica: perché non mette in luce i vantaggi di un effetto volano generato dalla maggiore capacità di spesa di miloni di lavoratori che avrebbero finalmente più fiducia, le famose aspettative positive, e darebbero vita a un nuovo mercato dei consumi.