Il bilancio dello Stato non è la discarica del settore bancario: l'idea scellerata di Bankitalia
E’ necessaria una discreta dose di sprezzo del pericolo per riuscire a sostenere, nel giro di pochi minuti, che il debito pubblico deve essere tagliato e, al contempo, domandare che venga implementato attraverso il ricco, generoso, sontuoso, conferimento dei crediti inesigibili del settore bancario
ROMA - Come spesso accade le considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia sono la summa del pensiero dominante e ruotano intorno al nemico pubblico del neoliberismo per eccellenza: il debito pubblico. Esso è il male assoluto e deve essere combattuto con ogni mezzo, perché frena il rilancio dell’economia. Per sconfiggere il drago, al novello San Giorgio servono strumenti potenti, e tra tutti il più potente è la "riforma». Questo, i sintesi, è quanto ha sostenuto recentemente, dopo pensosa e dotta riflessione, il capo della Banca d’Italia. La domanda potrebbe sembrare peregrina. La Banca d’Italia è un istituto privato, ha perso gran parte del potere che ha detenuto fino al 1990. La privatizzazione del sistema bancario, ed il successivo ergersi suprematista della Banca Centrale Europea – da cui dipende – hanno trasformato il cuore dello Stato italiano in un vigoroso, quanto inutile, centro studi. Sono passati gli anni in cui il credito era regolato dalla Banca d’Italia, la quale era in definitiva la banca delle banche e la banca dello stato stesso, dato che acquistava una parte il debito pubblico del paese. Oggi la Banca d’Italia ha un ruolo di controllo: che non è poca cosa, ovviamente. Dovrebbe vigilare sulla solidità degli istituti, per salvaguardare il risparmio. Ma recenti, e remoti, scandali che hanno coinvolto il sistema bancario italiano - l’elenco è lungo ma si erge possente il buco nero di Monte Paschi Siena, la cui sorte è avvolta da un manto di mistero – lasciano qualche dubbio sulla reale efficacia di tali controlli. Senza dimenticare, ovviamente, le peripezie di Antonio Fazio, governatore al centro di una vicenda giudiziaria che non mise in buona luce la Banca d’Italia.
Il socialismo dei potenti
Ignazio Visco ha detto che teme l’incertezza politica: banalità assoluta, roba da bar. Poi il sugo del discorso: «Il consenso va ricercato con la definizione e la comunicazione di programmi chiari, ambiziosi, saldamente fondati sulla realtà. Perché l'Italia viene dagli anni peggiori della sua storia in tempo di pace, le conseguenze della doppia recessione sono state più gravi di quelle della crisi degli anni Trenta. Le eredità più pesanti sono il debito pubblico e i crediti deteriorati delle banche. Ma il Paese ce la può fare, si può riprendere, può tornare a crescere con energia, purché chi governa abbia a cuore i benefici per i cittadini». Traduzione: ogni velleità sull’uscita dall’euro è, appunto, una velleità. Il debito pubblico deve essere tagliato vendendo e privatizzando tutto ciò che è patrimonio comune della nazione. I crediti marci della banche devono finire dentro un banca di stato pubblica. Poi la solita frusta dell’oltre, perché il futuro è ricco, sereno, gioioso, felice. La parte sui crediti deteriorato delle banche dà l’idea dell’alienazione che connota la vita di determinati personaggi. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha chiesto più o meno chiaramente la creazione di una «banca cattiva» – bad bank come si dice in anti lingua – in cui far confluire parte dei crediti che il settore bancario privato ha piazzato sul mercato e che ora si trova in pancia. La banca cattiva sarebbe ovviamente pubblica, e quindi si tratta, fino a prova contraria, di scaricare sul debito pubblico i debiti dei privati. Il famoso socialismo dei ricchi, i cui profitti sono sempre privati, mentre le perdite sono rigorosamente pubbliche.
Crediti deteriorati
Per non essere faziosi riportiamo il paragrafo che Repubblica dedica all’argomento: I crediti deteriorati: si riparla di intervento dello Stato. Alla fine dello scorso anno i crediti deteriorati delle banche, conseguenza inevitabile della crisi, sottolinea il governatore, erano pari a 173 miliardi, il 9,4% dei prestiti complessivi (e non i 350 miliardi dei quali spesso si parla, ribadisce, che è invece il valore nominale delle esposizioni, e non tiene conto delle perdite già contabilizzate nei bilanci). Inizialmente, ricorda Visco, quando il problema si è manifestato in tutta la sua gravità, "un intervento dello Stato non appariva compatibile con le condizioni di finanza pubblica». Dopo però, a partire dal 2013, a giudizio di Bankitalia tale intervento è anzi diventato auspicabile, ma è stato impedito "dagli orientamenti in materia di aiuti di Stato assunti dalla Commissione Europea a metà del 2013». Adesso il dibattito è in corso: la Banca d'Italia è chiaramente schierata a favore di tale ipotesi, ma, in ogni caso, chiede alla Commissione Europea che la questione si definisca rapidamente, perché continuare a fluttuare nell'incertezza "rallenta la definizione delle transazioni in corso, scoraggia quelle che potrebbero realizzarsi nei prossimi mesi".
Le regole, le regole...
E’ necessaria una discreta dose di sprezzo del pericolo per riuscire a sostenere, nel giro di pochi minuti, che il debito pubblico deve essere tagliato e, al contempo, domandare che venga implementato attraverso il ricco, generoso, sontuoso, conferimento dei crediti inesigibili del settore bancario. Non è chiaro dove risieda la razionalità di questo processo «logico». Tentiamo di comprenderlo insieme: il debito pubblico deve essere ridimensionato, par di capire, per far spazio al debito delle banche private? Indubbiamente la solidità del sistema bancario è importante, ma una soluzione così devasta sul piano etico un paese. Significa portare a regola, legittimante, la diseguaglianza di fronte alla Stato e, probabilmente, di fronte alla giustizia. E’ un principio inaccettabile, a meno che, in virtù del conferimento dei crediti inesigibili, si proceda ad una nazionalizzazione dell’istituto bancario conferente. Cosa di cui Visco, par di capire, non accenna nemmeno. Il bilancio dello Stato non può essere visto come una discarica dell’immondizia del settore bancario, in virtù di un potere ricattatorio non esplicitato ma evidentemente presente. L’Unione Europa, almeno in questo caso, ha compiuto un efficace controllo, con relativo blocco, su una dinamica totalmente inadeguata ai reali bisogni del paese.
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