19 aprile 2024
Aggiornato 04:30
I dati diffusi a giugno raccontano una verità parziale

Lavoro, quello che l'Istat e Renzi non ci hanno detto

L'occupazione sta salendo. Vero. Ma c'é qualcosa che non torna, e i politici che siedono in Parlamento si sono ben guardarti dal diffondere un altro genere di dati: quelli che riguardano, per esempio, la produttività nazionale. Ecco cosa vale la pena sapere.

ROMA – Il 2 giugno scorso l’Istat ha diffuso dati particolarmente incoraggianti per quanto riguarda l’occupazione, la crescita economica e il mercato del lavoro. Ve li ricordate? Una valanga di belle notizie per l’Italia e per il governo Renzi, che si è vantato di aver rimesso in moto l’economia nazionale con il Jobs Act. Peccato, però, che la statistica sia soggetta a molteplici interpretazioni e che la diffusione di alcune informazioni – al posto di altre – sia spesso una scelta politica strumentale. La realtà dei fatti, purtroppo, è ben diversa da come ce l’hanno voluta raccontare…

Cosa ci ha detto l’Istat
I dati sull’occupazione diffusi dall’Istat ci hanno fatto tirare un gran sospiro di sollievo. E non a torto, perché i numeri parlavano chiaro: nel quarto mese del 2015 il tasso di disoccupazione è sceso di 0,2% punti percentuali rispetto al mese precedente (un gran successo rispetto all’aumento progressivo dei primi mesi dell’anno), gli occupati sono aumentati dello 0,7% (+159mila) tornando così ai livelli del 2012, e i disoccupati sono diminuiti del’1,2% (-40mila). Il trend positivo raccontato da queste cifre veniva inoltre confermato dall’Ocse, che si univa all’Istat nel predire finalmente l’uscita dell’Italia dalla recessione. Come non esultare? E infatti, per dare il buon esempio, il premier in persona si era affrettato a twittare: «Avanti tutta su riforme: ancora più decisi. #lavoltabuona», prendendosi spavaldamente tutto il merito di questa – ahimé - vittoria di Pirro.

Cosa non ci hanno detto i politici
Sì, perché dietro questi dati, apparentemente positivi, si cela qualcosa di molto più preoccupante e nessuno di quelli che siedono in Parlamento ha avuto finora il buon gusto di informarci. Ecco cosa non torna: come ci spiega l’articolo di Paolo Pini e Roberto Romano su sbilanciamoci.info, se aumenta l’occupazione di un paese dovrebbe aumentare anche il suo Pil. Se non è così, non si tratta di «buona occupazione» (quella, per capirci, capace di rimettere in moto l’economia nazionale), ma semplicemente di una nuova versione del gioco delle tre carte. Se il Pil nazionale non aumenta insieme all’occupazione (è il caso dell’Italia), significa che non c’è crescita economica: e come si spiega questo, se invece «sembrano» aumentare i posti di lavoro? Le risposte sono solo due. O i posti di lavoro, in realtà, non stanno aumentando; oppure la nostra produttività nazionale sta diminuendo. E, in entrambi i casi, non è affatto una buona notizia.

L’occupazione «usa e getta» non aiuta la crescita
Per quanto riguarda i posti di lavoro, vale la pena considerare che la maggior parte dei nuovi contratti è non solo a tempo determinato, ma anche part-time. E due part-time (magari involontari) equivalgono soltanto ad unità di lavoro in più. La politica del lavoro «drogata» grazie al Jobs Act costituisce un forte incentivo per le imprese ad assumere nuovi dipendenti e soprattutto con formula part-time, ma dà anche la possibilità di licenziarli presto e a buon mercato. Il boom dell’occupazione nel mese di aprile può spiegarsi certamente con  l’aumento di questi contratti «usa e getta». Ed ecco spiegati i dati dell’Istat. Si tratta di «buona occupazione», capace di risollevare l’economia reale? Probabilmente no, perché i neoassunti non fanno i salti di gioia e sono ben lontani dal promuovere quel sentimento di «fiducia» così keynesiamente indispensabile alla crescita economica nazionale. Inoltre, per quanto riguarda la produttività, l’Italia detiene già la maglia nera tra i paesi industrializzati, perché questa ristagna da troppo tempo, e se dovesse anche diminuire (come risulta proprio dal confronto tra i dati dell’occupazione diffusi dall’Istat e quelli sul Pil nazionale) sarebbe estremamente dannoso per la competitività internazionale delle nostre industrie. Insomma, i dati del’Istat, a ben guardare, non ci dicono nulla di buono. Questo non lo twitti, caro Renzi?