Pensioni, cosa si nasconde dietro la sentenza della Consulta?
La decisione dei giudici della Corte Costituzionale sulla mancata indicizzazione delle pensioni ha provocato uno tsunami politico-economico e una falla da diversi miliardi di euro nelle casse dello Stato. Secondo alcuni, però, sulla sentenza della Consulta persistono delle criticità inspiegabili e nasconde ben altro
ROMA – Secondo alcuni giuristi la Corte Costituzionale ha fatto una scelta opinabile, non curandosi delle conseguenze politico-economiche della sua decisione. Secondo altri, non mancano evidenti criticità sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista sociale. La sentenza avvantaggia i pensionati d'oro, e si dimentica dei giovani. Ecco perché dietro la volontà dei giudici potrebbe nascondersi ben altro.
Criticità giuridiche: la contraddizione con l’art.81 della Costituzione
Tra gli aspetti che non convincono sulla sentenza della Consulta, ce n’è uno strettamente giuridico. In molti sottolineano un’incomprensibile disarmonia tra la sentenza n.70 della Corte Costituzionale con la n.10 di tre mesi fa: come afferma il costituzionalista Augusto Barbera, c’é una «contraddizione» tra la sentenza sulle pensioni e quella pronunciata dalla Corte sulla Robin Tax, perché nel secondo caso si è scelto di evitare effetti retroattivi per salvaguardare le esigenze di finanza pubblica, mentre nel primo si è deciso deliberatamente di scatenare uno tsunami politico-economico. Con la sentenza n.10, i giudici si sono appellati al rispetto dell’art. 81 della Costituzione, che questa volta sembra esser stato dimenticato.
Una sentenza amica dei pensionati d’oro
Impossibile, poi, non riflettere sulle implicazioni economico-sociali che scaturirebbero dalla sentenza. Se da un lato, infatti, la Corte sembra richiamarsi al criterio inderogabile dell’equità sociale, ecco invece che a giovarne sarebbero i pensionati che hanno una pensione superiore a tre volte il minimo Inps (cioè 1400) euro, e che non appartengono alla fascia più debole della popolazione. Si tratta di una classe medio-bassa, ma che è in grado di far fronte alla sfida dell’adeguatezza senza incorrere nel rischio di finire sulla soglia della povertà. La stessa Elsa Fornero, ex ministro del lavoro del governo Monti, aveva sottolineato il fatto che la sentenza non era stata approvata all’unanimità, proprio perché fortemente voluta dalla classe dei pensionati-manager, quelli con una pensione dai 5.000 euro in su.
Cosa si nasconde dietro la decisione dei giudici?
E che dire dei giovani? C’è da chiedersi se sia giusto restituire dei soldi a quei pensionati che percepiscono almeno 1400 euro al mese, quando la generazione mille euro di oggi considera la sua pensione di domani quasi un miraggio nel deserto. Non è solo il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo a penalizzarli, ma soprattutto l’ingresso tardivo nel mercato del lavoro e una condizione lavorativa troppo spesso instabile, saltuaria, altalenante a causa della quale diventa difficile versare i contributi con regolarità. Detto ciò, è evidente che dietro la sentenza della Consulta possa esserci dell’altro, se chiamando in causa il principio di equità sociale si finisce per dare un rimborso alle classi sociali più elevate e tutelate. Può esser stata una svista, quella dei giudici costituzionali? Un eccesso di zelo? O forse un altolà ben chiaro, in risposta a quelli che preannunciano manovre ardite contro coloro che detengono diritti acquisiti considerati intoccabili e inattaccabili?
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