Istat: «Aumenta il numero delle donne licenziate per maternità»
L'Italia è sempre stato un paese dove l'asimmetria del lavoro familiare è alta e anche il sovraccarico del lavoro di cura per le donne, spiega l'Istat. L'indice di asimmetria del lavoro familiare nella coppia in cui lei lavora e ha il figlio fino a 7 anni è pari al 70,4%, quello delle donne che hanno il figlio più piccolo da 8 a 12 anni il 72,2%.
Roma (askanews) - L'Italia è sempre stato un paese dove l'asimmetria del lavoro familiare è alta e anche il sovraccarico del lavoro di cura per le donne, spiega l'Istat. L'indice di asimmetria del lavoro familiare nella coppia in cui lei lavora e ha il figlio fino a 7 anni è pari al 70,4%, quello delle donne che hanno il figlio più piccolo da 8 a 12 anni il 72,2%. Nel tempo, «l'asimmetria dei ruoli all'interno delle coppie è leggermente diminuita ma più per una riduzione del lavoro di cura delle donne che per un incremento di quello degli uomini» e il «divario di genere di fronte ai tempi di lavoro totale (retribuito e familiare) si amplia in presenza di figli, manifestando un aggravio per le madri occupate». Nel complesso «anche il tempo libero delle donne occupate risulta inferiore rispetto a quello dei partner. Alcuni segnali di cambiamento si avvertono però tra le coppie giovani in cui il padre ha un elevato livello di istruzione e in presenza di figli di 3-5 anni, in questi casi i padri sono più collaborativi».
Le donne, con la gravidanza, perdono o lasciano il lavoro
Uno dei «punti critici nel nostro Paese è costituito proprio dalla nascita dei figli, momento che rappresenta una fase molto delicata rispetto alla condizione sul mercato del lavoro delle donne. La presenza di figli richiede il ricorso a strategie di conciliazione del lavoro e dei tempi di vita, al fine di minimizzare la perdita dell'occupazione e la sottoccupazione femminile", sottolinea l'Istituto. Negli ultimi anni è aumentato il numero delle donne che, rimaste incinta, perdono o lasciano il lavoro: le occupate che in corrispondenza di una gravidanza hanno lasciato o perso il proprio lavoro passano dal 18,4% del 2005 al 22,3% del 2012. A certificarlo l'Istat durante un'audizione in commissione lavoro del Senato sul decreti legislativi del Jobs act. La perdita dell'occupazione per la nascita di un figlio è più marcata nelle aree del Mezzogiorno (29,8% nel 2012) dove i livelli occupazionali sono già molto bassi, per le giovani (46,5% con meno 24 anni e 32,2% tra 25-29 anni), con basso livello di istruzione (30,8%), che lavorano alle dipendenze nel settore privato (24,6%), le straniere (36,6%).
Aumenta il numero delle donne licenziate per maternità
E «abbandonare il lavoro è sempre meno una scelta personale: aumentano, infatti, le donne che sono state licenziate (dal 16% del 2005 al 27,2% del 2012)». A sostenerlo, ancora l'Istat davanti alla commissione Lavoro del Senato in un'audizione sui decreti delegati sul Jobs act. Per le neomadri che continuano a lavorare, prosegue l'Istat, crescono le difficoltà di conciliazione (dal 38,6% del 2005 al 42,7% del 2012). Le ragioni principali sono l'orario di lavoro troppo lungo, la presenza di turni o orari disagiati e la rigidità dell'orario. Oltre che in corrispondenza della maternità, spiega l'Istituto, «le difficoltà che le donne sperimentano nel corso della loro vita si sostanziano anche in una serie di rinunce o di svantaggi sul piano lavorativo molto più diffusi che tra gli uomini (44,1% contro 19,9% degli uomini nel 2011). Si tratta soprattutto di donne che nel corso della loro vita a causa di impegni e responsabilità familiari, per una gravidanza o semplicemente perché i propri familiari così volevano, hanno rinunciato a lavorare, oppure hanno dovuto interrompere il lavoro, o non hanno potuto accettare un incarico lavorativo o, ancora, non hanno potuto investire come avrebbero voluto nel proprio lavoro perché hanno preso, per esempio, congedi con retribuzione parziale, hanno ridotto le ore di lavoro o accettato incarichi di minore rilievo. A fronte di una maggiore apertura dei giovani nei confronti di ruoli di genere più paritari, persistono delle visioni tradizionali dei ruoli maschili e femminili, anche tra i più giovani, soprattutto uomini».
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