Cortei e manifestazioni in 54 città per dire no al Jobs act
L'Italia del lavoro si è fermata e ha mandato un messaggio chiaro al premier Matteo Renzi. «Blocchiamo il Paese per farlo ripartire, faremo una nuova Resistenza», ha tuonato il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo. «Una grande risposta dei lavoratori contro le politiche dell'esecutivo», ha detto il numero uno della Fiom, Maurizio Landini.
ROMA - Cortei e manifestazioni in 54 città per dire no al Jobs act, che contiene «norme da anni '20», come ha detto il leader della Cgil, Susanna Camusso; la richiesta al Governo di cambiare le sue politiche economiche e la legge di stabilità e di rinnovare i contratti pubblici. L'Italia del lavoro si è fermata e ha mandato un messaggio chiaro al premier Matteo Renzi. «Blocchiamo il Paese per farlo ripartire, faremo una nuova Resistenza», ha tuonato il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo. «Una grande risposta dei lavoratori contro le politiche dell'esecutivo», ha detto il numero uno della Fiom, Maurizio Landini.
Le adesioni allo sciopero generale di Cgil e Uil (a incrociare le braccia sono stati anche i lavoratori iscritti all'Ugl) sono state molto alte, intorno al 70%. Per il trasporto pubblico è stata una giornata nera (il 50% dei treni e degli aerei fermi, percentuale che sale all'80% per gli autobus). Un blocco preceduto dalle polemiche che hanno investito l'autorità di garanzia degli scioperi, che, nonostante la revoca della precettazione dei ferrovieri decisa dal ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha nuovamente minacciato sanzioni.
Sulla protesta dei sindacati, cui hanno partecipato anche pensionati e studenti, è intervenuto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha sollecitato istituzioni e parti sociali al «rispetto reciproco» affinché «non si vada a un'esasperazione come quella di cui oggi abbiamo il segno» e che «non fa bene al Paese».
Cgil e Uil sono scese in piazza perché «così non va», recita lo slogan dello sciopero rilanciato come hashtag su Twitter. Camusso è tornata a chiedere a Renzi una sede di confronto. «E' una scelta del Governo se continuare a provare a innescare il conflitto oppure discutere - ha affermato il leader della Cgil - deve essere chiaro che noi non ci fermiamo. Non si cambia un Paese se non lo si fa con i lavoratori. Altrimenti succede che ci si trova in brutte compagnie, come quelle che emergono dalle cronache. L'emergenza è il lavoro».
Rivolgendosi al presidente del consiglio, Barbagallo ha ribadito che «noi siamo quelli che fanno andare avanti il Paese. Renzi ci stupisca, ci convochi per discutere il futuro del Paese con chi rappresenta la parte sana e cioè il sindacato. L'Italia si avvia verso il declino. Bisogna reagire». L'ira del segretario generale della Uil si è poi scagliata contro il garante degli scioperi, Roberto Alesse. «Si è fatto usare e strumentalizzare, dovrebbe trarne le dovute conseguenze».
La mobilitazione nazionale ha riguardato tutti i settori, compresi scuola, sanità e uffici pubblici. Momenti di tensione si sono verificati a Milano e Torino. A Roma, in piazza c'erano anche alcuni esponenti della minoranza del Pd, come Stefano Fassina, e il leader di Sel, Nichi Vendola.
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