19 aprile 2024
Aggiornato 00:00
Il caso

Il «made in Italy» ha trovato un eroe

Il Procuratore generale di Milano, Gaetano Santamaria, sfida le regole di comodo dell'Europa: «è la fiscalità asimmetrica a rendere legale e giusta l'evasione fiscale di Dolce e Gabbana»

Sulla scena italiana in questi giorni è apparso inaspettatamente un eroe del «made in Italy». Stiamo parlando del Procuratore generale di Milano, Gaetano Santamaria, che ha chiesto l'assoluzione dei due stilisti Dolce e Gabbana.

Facciamo un passo indietro: in primo grado Dolce e Gabbana erano stati condannati a un anno e otto mesi di carcere per avere trasferito le loro società in Lussemburgo. «Lo hanno fatto solo per non pagare le imposte in Italia» avevano sentenziato i giudici di primo grado, ed era scattata la pesante condanna.

Ora, perchè, secondo noi, il Procuratore, che in Appello vuole i due stilisti assolti, deve essere considerato un eroe del «made in Italy», anzi di tutta l'Italia? Perché ha avuto il coraggio di aprire gli occhi un pò a tutti, dicendo papale papale che il «modello Dolce e Gabbana» è consentito e reso legale dalle leggi europee e non si capisce per quale ragione un imprenditore dovrebbe farsi svenare dalle tasse nel proprio paese, quando passato il confine, senza andare a cercare paradisi fiscali esotici, gli è consentito di pagare infinitamente di meno.

Ora le cose sono due, manda a dire il Procuratore, o si vara un regime fiscale uguale per tutta l'Europa, o è inutile lamentarsi se gli industriale scelgono la strada più conveniente per le loro imprese, anche per poter competere con le migliori condizioni in cui operano i loro concorrenti.

«E bravi - potrebbero però obiettare i lavoratori dipendenti, gli artigiani, i piccoli imprenditori che, privi di scappatoie, sono costretti a sborsare il 50 per cento, se non di più, dei loro introiti -così i grandi guadagni potrebbero trovarsi un comodo riparo, lasciando sulle spalle di noi deboli tutto l'onere di tenere in piedi l'Italia».

Risposta: ma con tutta l'evasione di cui siamo a conoscenza non è quello che in pratica già accade? Non fa ridere sentire parlare ancora di nuove risorse che dovrebbero provenire dalla lotta all'evasione fiscale. Si può ancora credere di combattere questo fenomeno con i paradisi fuori dell'uscio di casa? O forse varrebbe la pena di prendere atto, senza ipocrisie, dello stato di fatto, cercando, al tempo stesso di volgere in positivo una situazione che finora conosciamo solo per i suoi lati negativi?

Insomma dovremmo guardare una buona voltà la realtà così com'è, non come vorremmo che fosse, al fine di poterla affrontare armati di soluzioni rivoluzionarie.

L'asimmetria fiscale dell'Europa ci provoca solo danni? Ebbene mettiamo l'Italia nella condizione di poter competere con i paradisi fiscali sparsi qua e là nella Ue. L'Irlanda fa pagare il 12 per cento di tasse alle imprese? Noi dovremmo scendere all'11 per cento, al 10 per cento.

Quali potrebbero essere i vantaggi per quella stragrande maggioranza di Italiani, privi di scappatoie, che continuerebbe a essere oberati da un 50 per cento di imposte? E' presto detto: inizialmente non potrebbero che restare fuori da questa rivoluzione fiscale, ma poi, in tempi relativamente brevi, potrebbero tornare a rivedere la luce dello sviluppo, unico motore in grado di consentire, a regime, successive riduzioni fiscali generalizzate.

Nell'immediato gli esclusi potrebbero inoltre vedere ripagato il loro sacrificio con il risorgere di opportunità e speranze future per i loro figli.

L'architrave di questa scommessa coraggiosa dovrebbe infatti poggiare sulle base solida di uno scambio, uno patto fiscale, attraverso il quale le imprese, italiane o straniere, dovrebbero accettare di compensare il privilegio di una riduzione drastica delle imposte, con la crezione di nuovi posti di lavoro. Insomma bisognerebbe varare una sorta di Piano nazionale dell'occupazione con il quale lo Stato, senza mettere un soldo, potrebbe rilanciare una vera crescita sul modello degli anni sessanta, attrarre imprese straniere al sud, creare una quantità rilevante di posti lavoro.

Inoltre le casse pubbliche potrebbero essere risarcite del mancato gettito fiscale grazie alle maggiori imposte pagate dai nuovi assunti.

Abbiamo 3 milioni e 200 mila disoccupati. Il 42 per cento dei nostri giovani vagolano senza occupazione. In quale miracolo dovremmo sperare per riassorbire 1 milione, 2 milioni di lavoratori? E fra quanto? Fra dieci, venti, trenta anni? E poi, se c'è qualcuno capace di idee più efficaci, che non siano i sussidi alla disoccupazione o gli spiccioli per l'apprendistato, non sia timido, le esibisca.

Ragazzi il Procuratore generale di Milano, Gaetano Santamaria, ci ha aperto gli occhi. Lasciamo perdere i miracoli e affidiamoci invece a quelle soluzioni che solo il coraggio ci può garantire.