16 aprile 2024
Aggiornato 17:00
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 17 settembre 2008, n. 23744

Lavoratore parasubordinato: anche lui può subire dal committente danni patrimoniali

Consistono nel mancato arricchimento della capacità professionale, nella “perdita di chance”

Con sentenza del 17 settembre 2008, n. 23744 la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha stabilito che anche il lavoratore parasubordinato può subire dal datore dei lavoro committente un danno di natura professionale se questi, come nel caso esaminato, non possa svolgere la sua opera a causa di un inadempimento degli obblighi di quest’ultimo.

Per la Cassazione i danni in tal senso sopportati dal lavoratore parasubordinato sono simili a quelli previsti dall’articolo 2103 del c.c. per il lavoratore subordinato e sono danni, patrimoniali e non patrimoniali, che possono consistere anche qui nel mancato arricchimento della capacità professionale o nella perdita di possibilità di guadagno, la cosiddetta perdita di chance.

Fatto e diritto
Un medico odontostomatologo in regime di convenzionamento con una ASL aveva convenuto in giudizio la committente onde ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivati dall'impossibilità di svolgere il servizio presso l'ambulatorio odontoiatrico per inidoneità dei locali e della strumentazione.
La ASL non lo aveva messo in condizioni di lavorare in quanto nell’ambulatorio mancava il materiale necessario alle operazioni più elementari e nei locali erano state riscontrate delle perdite d’acqua che li esponevano al pericolo di cortocircuito elettrico
Ma mentre il Tribunale rigettava la domanda la Corte d'appello ravvisava tuttavia l’esistenza di danni anche se di importo minore di quello prospettato dal medico.
La Corte d’Appello aveva ravvisato in questi fatti un inadempimento degli obblighi gravanti sull'Azienda per effetto del contratto di lavoro parasubordinato stipulato con il professionista ed altresì per effetto di un accordo collettivo nazionale che imponeva alle ASL l'obbligo di fornire agli ambulatori non ospedalieri le strutture minime.
Da questo inadempimento erano derivati al professionista danni che, per l'assenza di elementi del lavoro subordinato, non potevano essere ricondotti all'illegittima assegnazione a mansioni inferiori, di cui all'art. 2103 cod. civ., né alla violazione degli obblighi di protezione gravanti sull'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., e che tuttavia si erano concretizzati nel mancato guadagno da esecuzione di prestazioni di particolare impegno professionale, in misura determinabile non attraverso i generici documenti prodotti dal medico ricorrente bensì in via equitativa, nel deterioramento delle capacità professionali non esercitate
Contro tale sentenza è ricorso in Cassazione la ASL
Dunque il medico pur se ingaggiato per 32 ore settimanali, era costretto all’inattività dalla quale era derivato il ricorso per la perdita di chance e per il danno all’immagine.
Altro elemento che ha pesato poi nella decisione della Corte di Appello, che nel merito ha incensurabilmente tratto la presunzione dei danni, patrimoniali ed all'immagine professionale, sopportati dal prestatore d'opera, è stata la decisione della Corte dei conti che aveva condannato gli amministratori della ASL per esborso di compensi al professionista senza acquisizione della corrispondente utilità.

La decisione della Corte di Cassazione
Per la Corte di Cassazione Benché in linea generale non sia configurabile un interesse giuridicamente protetto del debitore all'adempimento, nel particolare campo del diritto del lavoro subordinato è costante giurisprudenza che l'art. 2103 cit., prescrivendo nella sua prima parte di adibire il lavoratore alle mansioni di assunzione o a quelle successivamente acquisite, fonda il correlativo diritto soggettivo, la cui lesione da parte del datore di lavoro costituisce inadempimento e determina gli obblighi, oltreché di corrispondere la retribuzione, anche di risarcire il danno da dequalificazione
Questo può consistere sia nel danno patrimoniale derivante dall'impoverimento o dal mancato arricchimento della capacità professionale oppure da perdita di possibilità di guadagno (perte de chance) o ancora nel danno non patrimoniale all'immagine o alla vita di relazione.
L'onere di provare questi danni spetta al lavoratore, che può assolverlo anche fornendo elementi presuntivi, mentre la determinazione quantitativa può essere compiuta dal giudice di merito in via equitativa
La questione che la ricorrente pone ora alla Corte è se questa giurisprudenza possa valere anche per quella categoria di lavoratori autonomi che suole essere denominata dei lavoratori parasubordinati. Questione che va risolta in senso positivo.

Per la Cassazione Il contraente si obbliga a lavorare per un tempo, certo o indeterminato, coordinando la propria attività con quella del committente, che tuttavia non è titolare dei poteri direttivo e disciplinare.
Da ciò consegue che il committente è obbligato a non recedere prima del termine convenuto oppure a recedere col rispetto delle regole, legali o contrattuali, di tutela del prestatore d'opera.
E' anche possibile che legge o regolamento o contratto obblighino il committente a fornire al medesimo gli strumenti o la sede.
L'inadempimento di questi obblighi, che si aggiungono a quello di pagare il compenso, impedisce al prestatore di eseguire la sua opera e può produrgli danni, patrimoniali e non patrimoniali.
In conclusione deve affermarsi che gli elementi della continuazione e del coordinamento, che caratterizzano il rapporto di lavoro cosiddetto parasubordinato (art. 409, n. 3, cod. proc. civ.) quale rapporto di durata, comportano uno svolgimento di prestazioni lavorative idoneo ad incrementare scienza ed esperienza, ossia le capacità professionali, del prestatore, con la conseguenza che anche questi, a simiglianza del lavoratore subordinato in base all'art. 2103 cod. civ., può vantare nei confronti del committente ed in base al titolo costitutivo del rapporto (legge o atto amministrativo o contratto) un diritto soggettivo all'effettiva esecuzione delle prestazioni nonché, in caso di lesione, il diritto al risarcimento del danno da perdita o mancato incremento di capacità di lavoro oppure da deterioramento dell'immagine professionale.
Per la Cassazione, nel caso di specie, la Corte d'appello si è attenuta a questo principio di diritto, con la conseguenza che la sua sentenza non è infirmata dai vizi denunciati dalla ricorrente.

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