19 aprile 2024
Aggiornato 20:00
Il parere di Paolo Beltramo

Valentino, Marquez, Lorenzo: dite basta ai veleni!

L'escalation dello scontro, dopo l'infuocato finale dell'ultimo campionato, ha raggiunto livelli insostenibili. È giunto il momento che tutti (tifosi, case, federazione, ma anche piloti) facciano un passo indietro. Per non rovinare questo sport irrimediabilmente

MILANO – La notizia è di qualche giorno fa, ma non mi ha sorpreso. Piuttosto ha confermato una sensazione negativa che provavo da quella settimana di ottobre, quella dei GP d’Australia e di Malesia 2015. Mi riferisco al fatto che il fan club Italiano di Marc Marquez ha comunicato di aver deciso di non andare alla gara del Mugello a causa delle minacce ricevute sui social. Mi riferisco anche alla paura che avevo che il peggio dovesse, potesse ancora arrivare. Questa notizia conferma che l’onda negativa non si è infranta sulla spiaggia di Valencia. Io credo che il prossimo Mondiale corra un serissimo rischio di nascere sotto i peggiori auspici. Così non l’avevo mai percepito dal ’79. Ci sono sempre state acerrime rivalità, inimicizie, antipatie, incompatibilità, lotte, anche odi profondi. D’altronde, una volta usciti dal box e scesi in pista, questo è uno sport individuale, dove aggressività, egoismo, altissima considerazione di se stessi, un po’ di bastardaggine, capacità di approfittare degli errori, delle sfortune, dei problemi altrui sono caratteristiche essenziali, necessarie, aspetti che diventano qualità.

Il degrado del tifo
La sintetizzo così: ho visto molti «bastardi» (sportivamente parlando, non mi riferisco assolutamente alle persone che stanno dietro e dentro il pilota, lo sportivo) perdere, ma rarissimamente ho visto dei «buoni» vincere. Fino alla fine dell’anno scorso questa realtà, così come l’assioma che il primo avversario da battere è il compagno di squadra, poi quello di marca, non ha mai creato problemi irrisolvibili. Anzi ha dato vita a dualismi, lotte fantastiche tra piloti e caratteri diversi. Fino ad ottobre 2015. Da allora le cose sono degenerate, hanno coinvolto, ferendola, l’anima di questo sport bellissimo, spettacolare, crudele, difficile, pericoloso. I tre piloti coinvolti (Rossi, Marquez e Lorenzo) hanno portato la loro lotta a livelli di odio inediti. Non sto qui a dare colpe o a difendere: com’è andato a finire il Mondiale 2015, con quali atteggiamenti, lo sappiamo tutti. È stato un finale indegno, non tanto nel risultato (il titolo di Lorenzo ci poteva stare, ha guidato benissimo, è andato fortissimo), ma nella forma, che nell’arte diventa sostanza. Le bassezza, le polemiche, le dichiarazioni fatte sono state deleterie per lo sport. Hanno creato divisioni in stile calcistico tra gli appassionati, hanno stimolato il tifo contro anziché quello pro, hanno prodotto atteggiamenti beceri, scontri Italia-Spagna che non dovrebbero esistere in uno sport, appunto, individuale. È stato brutto, insomma.

Cosa dovevano fare i campioni
Dei tre piloti coinvolti Valentino Rossi è stato quello che ha subìto, che ci ha rimesso. Ma è anche di gran lunga il più carismatico, popolare, fenomenale dei tre. Dall’alto dei suoi 9 Mondiali e 112 GP vinti, ma soprattutto dall’alto della sua intelligenza assoluta, dovrebbe prendere un’iniziativa, metterci la faccia. Tentare di riportare lo scontro a livelli normali. Io, fossi stato in lui, avrei stigmatizzato la notizia della rinuncia dei tifosi di Marquez e li avrei, anzi, invitati a venire a Mugello e a tifare liberamente per chiunque volessero. Inoltre avrei diffuso un messaggio di pace invitando tutti a frequentare qualsiasi circuito del mondo senza paura sfoggiando allegramente il proprio colore. Fossi stato Marc Marquez avrei detto di non credere a quattro idioti che sparano insulti e minacce sul web protetti dall’anonimato e dalla lontananza. Vorrei vederne uno di persona che mi dica in faccia, da solo, quello che scrive. E avrei invitato i miei sostenitori ad andare al Mugello e a Misano senza preoccuparsi, mentre avrei invitato i fan di Rossi ad andare tranquillamente a Jerez, Barcellona, Aragona e Valencia con le loro tribune gialle. Fossi stato in Jorge Lorenzo avrei parlato molto meno, avrei tenuto un atteggiamento più distaccato, più signorile: in fondo il Mondiale l’ha vinto lui, no? L’avrei smessa di metterla nei termini «la stampa italiana» è contro di me, racconta balle (poi puntualmente verificatesi come nel caso del cambio di casco) e avrei invitato tutti a godersi in positivo la rivincita, lo spettacolo che inizierà in Qatar a marzo. Avrei sfoggiato l’orgoglio e la voglia di rimettere in gioco il titolo, il desiderio di dimostrarmi ancora il più forte.

Gli errori dei vertici
Assorda anche il silenzio di Dorna, Federazione, case. Nessuno che si preoccupi, o che lo dimostri con fatti e parole. Tutto tace, come niente fosse. Si rinnova la direzione gara quando sappiamo tutti che il problema vero è stata la mancanza di un intervento il giovedì a Sepang dopo la conferenza stampa. Si dovevano prendere i due, Rossi e Marquez e li si doveva mettere a confronto fino a quando non fosse venuta fuori la verità, a costo di tenerli lì per ore e di analizzare con loro e i loro tecnici le telemetrie del GP australiano. Ora il danno è fatto, ma sembra che tutto sia normale, che tutto vada come sempre. Si conferma il GP di Brno fino al 2020, si comincia a parlare dei test, pure Stoner che pure non è ancora risalito in sella (bentornato, ci mancavi) comincia già a seminare un po’ della sua zizzania antica.

Strada senza uscita?
Insomma, fossi stato in loro, avrei buttato un po’ di acqua sulle braci, anziché benzina. Non per buonismo mediatico, ma per amore dello sport. Invece da tutti arriva un imponente, assordante silenzio. E questo è grave perché coinvolti ci sono il Mito, il Fenomeno erede designato del Mito e quello che spesso li suona entrambi. E poi gli organizzatori, le squadre, le case, i finanziatori. Gente che dovrebbe essere intelligente, sensibile, appassionata, ma (nel caso dei piloti) troppo orgogliosa per fare un passettino indietro, in assoluto troppo egoista per ammettere che oltre a loro tre esiste anche il mondo. Esiste lo sport che c’era prima e ci sarà dopo di loro. E che non è esclusiva proprietà di tre superstar, o dei gruppi citati, ma patrimonio di tutti gli appassionati del mondo. Passati, presenti e futuri. I cavoli loro, insomma, li risolvessero in pista e che finisse lì, al massimo in un confronto a saracinesche chiuse. Andasse così mi piacerebbe, sarei loro grato per averci restituito qualcosa di meraviglioso che, almeno un po’, hanno ferito. Ma ho paura che non accadrà.