27 aprile 2024
Aggiornato 01:00
Rischio attentati nell'automobilismo

Anche la F1 nel mirino del terrorismo islamico

Finisce davanti alla corte suprema negli Emirati Arabi Uniti un presunto jihadista, arrestato due giorni prima del Gran Premio di Abu Dhabi del 2014 proprio con l'accusa di aver pianificato di piazzare bombe nel circuito di Yas Marina

ABU DHABI – Anche la Formula 1 finisce nel mirino del terrorismo islamico. O meglio, ci è già finita, visto che si è ritrovata, senza saperlo, ad un passo dall'essere vittima di un attentato da parte dei più sanguinosi gruppi fondamentalisti. Finora, il campionato del mondo dell'automobilismo si era trovato a dover fare i conti con il rischio sicurezza solo nel 2011, quando il Gran Premio del Bahrein fu cancellato dalla Federazione internazionale dell'automobile per gli scontri interni in corso nello Stato mediorientale tra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita. Ma in quel caso si trattava solamente di minacce generiche per il corretto svolgimento della gara. Ben diversa è la storia venuta alla luce questa settimana, con il processo di un cittadino degli Emirati Arabi Uniti, sospettato di legami con Al-Qaeda e con l'Isis: nel novembre 2014 era già stato pianificato un attacco jihadista proprio in occasione del Gran Premio di Abu Dhabi.

Attacco sventato
La presunta mente dietro a questi attentati programmati si chiama Mohammed Al-Habashi Al-Hashemi, marito di Alaa Bader al-Hashemi, condannata a morte nel luglio scorso per aver ucciso un'insegnante di asilo americana, la 47enne Ibolya Ryan, nella toilette di un centro commerciale di Abu Dhabi mentre indossava un velo integrale. Secondo i quotidiani locali The National e Gulf News, il marito Mohammed, finito in prigione negli Emirati Arabi proprio dal 21 novembre 2014, due giorni esatti prima del GP di F1, è comparso lunedì scorso di fronte alla corte suprema federale dello Stato, con sette diverse accuse di terrorismo, tra cui quelle di aver progettato di assassinare un leader politico arabo e di piazzare bombe in una base militare americana, in un negozio di arredamento Ikea e, appunto, nel circuito Yas Marina.

Le accuse dei magistrati
Una testimonianza ascoltata dai giudici ha riportato anche che Al-Hashemi avrebbe cercato di unirsi alle milizie dell'Isis e di donare denaro ad un membro di Al-Qaeda, con il preciso obiettivo di finanziare le attività terroristiche. Alla fine, hanno ricostruito i pubblici ministeri locali, l'uomo si sarebbe deciso invece per «continuare a lavorare negli Emirati a supporto dell'organizzazione». Il sospetto, dal canto suo, si è dichiarato innocente di tutte le accuse, pur rimanendo in una cella di isolamento ormai da sei mesi. Certo è, però, che questa scoperta non può che allarmare il circus internazionale della Formula 1. Che tra pochi mesi riprenderà a girare il mondo e a piantare le sue tende in tutti i Paesi, anche in quelli a più alto rischio. Stavolta, forse, con un pizzico di paura in più.