19 marzo 2024
Aggiornato 09:00
Batteri resistenti agli antibiotici

Scienziati hanno trasformato il veleno di vespa in un potente antibiotico

I ricercatori del MIT sono riusciti a estrapolare un principio attivo del veleno di vespa che è efficace contro i batteri, ricavandone un antibiotico che può combattere la resistenza batterica

Le vespe sono insetti poco graditi. Nidificano quasi ovunque e non si fanno scrupolo di pungere chi ritengono dia loro fastidio, dato che, al contrario delle api, non muoiono quando pungono qualcuno. Ma da insetto fastidioso, pare possano divenire una risorsa contro i batteri resistenti gli antibiotici, un’emergenza sanitaria sempre più allarmante.

L’antibiotico amico dell’uomo
Il prof. Cesar de la Fuente-Nunez, microbiologo e immunologo del MIT, insieme ai colleghi è riuscito a sviluppare un nuovo potente antibiotico basato su un peptide presente nel veleno di vespe. La nota rilevante è che questo composto uccide i batteri senza danneggiare le cellule umane. «Abbiamo riproposto una molecola tossica in una che è una molecola vitale per trattare le infezioni - ha spiegato Cesar de la Fuente-Nunez - Analizzando sistematicamente la struttura e la funzione di questi peptidi, siamo stati in grado di mettere a punto le loro proprietà e attività». I peptidi antimicrobici non li producono soltanto le vespe, ma praticamente tutte le classi di vita sul nostro pianeta. Questa aminoacidi a catena corta sono in grado di uccide i batteri distruggendo le loro membrane cellulari. Il processo è parte della difesa contro le infezioni messa in atto dagli esseri viventi.

La resistenza agli antibiotici
Il dato di fatto, oggi, è che sempre più batteri sviluppano resistenza agli antibiotici. A causa di ciò, in tutto il mondo sempre più persone muoiono per infezioni divenute incurabili. L’unico modo, al momento, di combattere il fenomeno della resistenza è quello di creare nuovi antibiotici a cui i batteri non abbiano sviluppato resistenza. Per offrire una possibile risposta, gli scienziati stanno lavorando nel tentativo di adattare i peptidi antimicrobici in potenziali farmaci antibiotici. Un lavoro tuttavia complicato.

La vesta «antibiotica»
Nella ricerca dell’antibiotico ideale, il team del MIT ha preso in considerazione un preciso peptide che si trova naturalmente nel veleno di una sudamericana chiamata Polybia paulista, che contiene soli 12 aminoacidi. La vespa Polybia paulista alcuni anni fa è stata altresì oggetto di ricerca per il suo veleno nella lotta al cancro. «È un peptide abbastanza piccolo, così da poter provare a mutare il maggior numero possibile di residui di amminoacidi per cercare di capire in che modo ogni componente elementare contribuisce all’attività antimicrobica e alla tossicità», ha sottolineato de la Fuente-Nunez.

I test
Nello studio i ricercatori hanno sviluppato alcune dozzine di varianti del peptide, per poi testarle contro 7 specie di batteri e 2 funghi, al fine di valutare la loro interazione con le membrane cellulari. Sulla base di ciò, i ricercatori hanno potuto individuare quali strutture e proprietà fisico-chimiche dei peptidi fossero le più efficaci contro i microbi, e raffinarle di conseguenza. I peptidi così raffinati sono poi stati testati per la tossicità nell’uomo basandosi su cellule renali embrionali umane cresciute in laboratorio. In questo modo, la squadra ha stabilito un livello di dose sicuro per l’essere umano. Il passo successivo è stato quello di testarne gli effetti su modello animale. Per questo, i ricercatori, hanno infettato un gruppo di topi con un batterio resistente agli antibiotici chiamato Pseudomonas aeruginosa, che è particolarmente pericoloso per i pazienti con sistema immunitario compromesso.

I risultati
Dopo i vari test condotti sui diversi peptidi, i ricercatori hanno osservato diversi gradi di successo nel combattere l’infezione, e il batterio. Molti di questi peptidi hanno effettivamente ridotto il livello di infezione. Tuttavia, soltanto uno è risultato drastico nell’uccidere il P. aeruginosa – anche se la dose utilizzata dev’essere piuttosto elevata. «Dopo quattro giorni – ha fatto presente de la Fuente-Nunez – quel composto può eliminare completamente l’infezione. Ed è stato abbastanza sorprendente ed eccitante perché di solito non lo vediamo con altri antimicrobici sperimentali o altri antibiotici che abbiamo testato in passato con questo particolare modello di topo». Ora i ricercatori stanno cercando di capire se il peptide può mantenere la sua efficacia anche a dosi più basse e sicure. Tuttavia, i risultati ottenuti sono più che promettenti. Anche se bisognerà attendere studi clinici che ne confermino o meno il possibili utilizzo. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Communications Biology.